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sabato, 19 Aprile 2025

Gli operatori dell’Asp di Cividale donano il plasma iperimmune

La terapia ha avuto ottimi risultati, un esempio eclatante sono stati gli ospedali di Pavia e Mantova. Ora la domanda giunge spontanea , “come mai questo tipo di procedura non viene applicata a livello massivo?”

02.03.2021-15.13 – Venerdì 5 e sabato 6 marzo, alcuni dei collaboratori, precedentemente contagiati dal Covid-19, della Asp Casa per anziani di Cividale doneranno il loro plasma iperimmune come gesto di appoggio a coloro che ne sono più colpiti, gli anziani.

L’iniziativa è stata promossa e coordinata dall’RSPP della casa di riposo, Nicholas Grünwald, che evidentemente ha seguito con molta attenzione i risultati positivi prodotti dall’utilizzo di questa procedura sanitaria in altre realtà. Hanno aderito 22 persone tra dipendenti dell’Asp e iscritti alle cooperative Universiis e Ideal Service. Si sono organizzati in forma autonoma, offrendo il loro contributo con un gesto di estremo altruismo e solidarietà.

L’utilizzo del plasma iperimmune, in alcune regioni italiane, sta dando risultati molto incoraggianti, grazie agli anticorpi sviluppati dai pazienti che sono guariti. Il plasma prelevato, previo consenso, da chi è guarito dall’infezione da Covid-19, è preventivamente testato per la presenza e quantizzazione di quel tipo particolare di anticorpi detti “neutralizzanti”. I parametri considerati seguono un criterio molto selettivo, gli anticorpi devono avere delle caratteristiche molto specifiche. Nella pratica della terapia è di fondamentale importanza determinare il “timing” ideale per l’infusione. Un paziente che è da 30 giorni in ventilazione forzata probabilmente non è il target ideale perché ha un polmone già compromesso. Quindi il momento ideale è quello di individuare i pazienti nella fase di gravità medio severa, ossia quelli stanno andando verso la desaturazione. Va sottolineato che questa terapia nulla toglie alle altre terapie che le varie istituzioni decidono di attuare secondo i loro protocolli e non interferisce con la terapia antivirale farmacologica.  È una terapia che si può dare in associazione, non in alternativa.

 Il primo a parlarne, in Italia, è stato il dr. Cesare Perotti, Direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo di Pavia, durante la prima ondata del Covid-19 del 2020. È sicuramente stato, uno dei protagonisti della prima fase sperimentale sul plasma iperimmune, aiutando molti pazienti in condizioni difficili e salvando molte vite. Il protocollo è partito su iniziativa del servizio di Immunoematologia del Policlinico San Matteo, fortemente appoggiato dalla Direzione generale, che ha colto in un momento di grande difficoltà terapeutica l’occasione di aggiungere un’arma in più alla terapia già in atto. Si sono basati sulle esperienze precedenti di altre pandemie (Sars, Mers, Ebola…) per tentare una terapia aggiuntiva utilizzando un’idea abbastanza semplice, cioè utilizzare il plasma dei soggetti guariti dall’infezione da Covid-19. Nel plasma dei soggetti guariti convalescenti ci sono infatti gli anticorpi circolanti che hanno permesso loro di guarire, e questi sono in grado, una volta infusi in un soggetto il cui sistema immune non è stato in grado di creare una difesa immunitaria efficace, di infondere passivamente degli anticorpi molto specifici diretti contro il virus.

[l.f]

 

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