09.10.2022 – 08.00 – Un ragazzo minorenne viene condannato per truffa, estorsione e resistenza a pubblico ufficiale. La polizia era sopraggiunta mentre il giovane stava costringendo la vittima ad eseguire dei prelievi dal bancomat. Vedendo i poliziotti, il reo strappava l’ultima banconota da 100 euro dalle mani del malcapitato e si dava alla fuga in auto. Anche se privo di patente, scappava ad alta velocità e, raggiunto dalle forze dell’ordine, si chiudeva nella vettura rifiutandosi di uscire. L’assedio durava fino a quando i poliziotti riuscivano a introdursi nell’abitacolo e, a quel punto, il ragazzo continuava a dimenarsi con forza, per non essere catturato.
Tra i vari reati commessi, il giovane ricorre alla Corte di Cassazione contro la condanna per resistenza a pubblico ufficiale. L’articolo 337 del Codice penale punisce “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio”. Cioè, se strattoni o minacci un poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni, commetti un reato.
Ma quale violenza e quali minacce? Si chiede il giovane criminale. È vero che è fuggito ad alta velocità, ma la fuga è stata brevissima. Eppoi, il fatto che il colpevole provi a scappare, non è un reato, ma un comportamento piuttosto naturale di chi non vuole finire in prigione. Anche il comportamento successivo non sarebbe così grave: una volta raggiunto, si è limitato a chiudersi nel veicolo e, una volta aperto il veicolo, si è limitato a divincolarsi per non essere catturato. Sono condotte passive che non implicano alcuna “resistenza”. Perché ci sia “resistenza”, infatti, serve una condotta attiva, fatta di aggressioni e minacce contro i pubblici ufficiali.
I giudici riassumono con altre parole quanto accaduto. La fuga ad alta velocità, benché breve, è avvenuta alla guida di un’autovettura particolarmente potente, senza patente, e con pericolo per l’incolumità dello sventato guidatore e degli altri. Quanto alla presunta passività della condotta successiva, il chiudersi dentro all’abitacolo, divincolarsi e, soprattutto, strattonare gli agenti di Polizia è piuttosto una condotta attiva, tesa a impedire l’immobilizzazione e l’arresto.
La Cassazione chiarisce che, per commettere il reato di “resistenza a pubblico ufficiale”, non è necessario “che sia concretamente impedita la libertà d’azione del pubblico ufficiale, essendo invece sufficiente un comportamento” che gli ostacoli il compimento del suo dovere. E ciò indipendentemente dall’esito dell’azione di contrasto. (Cass.pen. n. 458/2022)
[g.c.a.]