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lunedì, 17 Febbraio 2025

Allarme allevatori in Fvg: Guerra? Caro energia e carburante? Siccità? Una crisi che ha radici più profonde

Intervista al Consigliere regionale Alberto Budai, allevatore e caseario da quattro generazioni

29.08.2022 – 15.50 – Ieri, come ogni anno, si è svolta la tradizionale festa degli allevatori che ha avuto luogo a Malga Montasio. L’evento è stato anche un fondamentale momento di aggregazione e confronto tra gli operatori del settore zootecnico che, da una decina di anni, si trovano di fronte ad un’incalzante crisi del settore. Il dibattito a cui hanno preso parte il presidente dell’Associazione Allevatori FVG Renzo Livoni, il presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin e il presidente della II Commissione il Consigliere regionale Alberto Budai, allevatore e caseario da quattro generazioni, è stato anticipato dalla Santa Messa celebrata dai frati del santuario di Sant’Antonio di Gemona del Friuli. Se Livoni ha evidenziato soprattutto la sfortunata congiuntura storica in cui all’aumento dei costi energetici e delle materie prime per la coltivazione dei terreni, si sono aggiunti i danni provocati dalla siccità che hanno fortemente inciso sulla diminuzione dei foraggi, Budai d’altro canto ha messo in luce le difficoltà di un settore che ha subito la prima vera stangata quattro anni fa con la chiusura di 1300 allevamenti e che vede in quest’ultima crisi il colpo di grazia, ma non la causa principale.

Consigliere Budai è stata accennata la presenza, più di vent’anni fa, di oltre 10.000 allevamenti, un numero che oggi si è ridotto a 500. Cosa è successo?

“Innanzitutto, bisogna fare un distinguo. Dei 10.000 allevamenti di cui si è accennato 7000 circa erano piccole stalle familiari con qualche capo che servivano alla sussistenza delle famiglie, le quali rientravano in un concetto di economia post-bellica. È opportuno ricordare che il Friuli Venezia Giulia fino a qualche decennio fa era una regione a carattere prevalentemente agricolo. Queste piccole realtà con l’arrivo della modernità e la chiusura delle latterie turnarie, dove ogni singola famiglia portava il proprio latte e si prendeva il formaggio, sono andate scomparendo anche per questioni igienico sanitarie dettate dalla conseguente evoluzione del contesto urbano. Parallelamente alla chiusura di queste piccole stalle alcune iniziarono ad ingrandirsi compensando la perdita della capacità produttiva pro capite del latte dettata da un’economia di sussistenza. Per tanti anni queste piccole aziende di 30/40 capi a conduzione familiare sono state l’asse portante della zootecnia friulana. Si parlava di quasi 3500 allevamenti, alcuni dei quali con 200/300 capi. Fino al 2010 il trend è stato in crescita, poi un’inversione di marcia che ci ha portati oggi ad avere in Friuli solo 500 allevamenti. Quando si parla di colonna portante del settore zootecnico, ci si riferisce a quello che oggi si sta perdendo ossia quelle tre o quattro grosse stalle che in un paese forniscono un litro di latte a persona. La progressiva chiusura degli allevamenti sta portando alla perdita della capacità produttiva di latte.”

Da dove parte la crisi?

“Le origini di questa crisi sono prevalentemente di ordine sociale. Oltre a dover lavorare 365 giorni all’anno, in Italia, a differenza di altri paesi, l’allevatore è realmente considerato l’ultimo degli ultimi. Socialmente non è considerato. Inoltre, la redditività per le piccole aziende, quelle con 30/40 capi, che sono state per tanto tempo l’asse portante della zootecnia Friuli, è sempre stata pari a zero. In questi quattro anni di fatto come Regione abbiamo investito decine di milioni per cercare di favorire la vendita diretta attraverso la creazione di filiere. Ieri, tuttavia, a Malga Montasio ho rimarcato che noi politici abbiamo fallito, perché indipendentemente dagli investimenti, abbiamo costruito una babele di norme che impedisce di svolgere tranquillamente questo tipo di attività. Ad esempio, per tagliare una fetta di formaggio ci vogliono approssimativamente 160 passaggi burocratici, non scherzo gli ho contati. Ora con tutti questi presupposti, bisogna chiedersi perché un giovane dovrebbe portare avanti questo tipo di attività.”

Come vede il fatto che il prezzo del latte oggi sia salito?

“Il prezzo del latte oggi per chi ha un contratto è mediamente intorno ai 53 centesimi. Tuttavia, con l’aumento del prezzo del mais, della soia, della medica e dei costi di energia e carburante si fa presto a capire che sì è salito, ma vale meno di prima. Tra l’altro si continua a dire che è il prezzo del latte è salito, ma molti non sanno che a fine anni Ottanta il latte valeva 1000 lire al litro; quindi, più o meno come adesso solo che le spese allora erano un quinto di adesso. Se si pensa che in quel periodo si poteva comprare un trattore con venti milioni, mentre oggi con 10.000 euro non cambi nemmeno le ruote, le proporzioni sono subito fatte. Quando nel 1995 misi in piedi la latteria, per cuocere il latte installai un bidone in GPL con una capienza di 1300 litri, il primo pieno mi costò 350 mila lire. Oggi con 170 euro l’autista non passa neanche a salutarmi. Fenomeno che successe anche nel 2013 e 2014 quando il prezzo del petrolio schizzò alle stelle.”

Cosa sta comportando la chiusura degli allevamenti?

“Il problema non è solo che stiano chiudendo gli allevamenti, il problema è che sta venendo a mancare tutto l’indotto che gira intorno alla zootecnia, aumentando ulteriormente i costi di questa attività. Sotto un certo limite di allevamenti anche la filiera non è più in grado di sostenersi. Concessionarie e competenze rischiano di essere spostate, perdendo così professionalità locali come veterinari, meccanici, fabbri ecc. Per quale motivo un concessionario di mungitrici dovrebbe avere interesse a rimanere in una regione in cui non c’è redditività? Un importante studio ha evidenziato che da ogni 10 vacche dipende un posto di lavoro indiretto. Qui in regione prima avevamo 60.000 capi adesso forse ce ne saranno 20.000, secondo i calcoli abbiamo quindi perso 4000 posti di lavoro. Tra l’altro in questo momento stanno chiudendo soprattutto stalle con 200/300 capi a causa dei costi elevati dei dipendenti, mentre tra quelle che continuano a reggere sono allevamenti a conduzione familiare da 30/40 capi”.

Il Presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin ha accennato ad un emendamento per l’abbattimento dei costi della macellazione d’urgenza.

“In primo luogo, bisogna chiarire che l’emendamento sulla macellazione d’urgenza, che è stato fatto dalla collega Mara Piccin, contempla un contributo che non può essere dato all’Associazione Allevatori perché altrimenti viene bloccato dalla Comunità Europea per un discorso di competitività contravvenendo alle norme contro la concorrenza. Poi bisogna aggiungere che il regolamento non è stato ancora predisposto e che, quando entrerà in vigore, i soldi andranno all’USL per andare a limare le spese vive dei veterinari che devono intervenire per la macellazione d’urgenza. Anche in questo caso è bene fare una distinzione all’interno di questo discorso, perché si parla di macellazione d’urgenza solo quando il capo di bestiame è sano e la sua carne può essere immessa sul mercato, come ad esempio nel caso in cui un animale si fratturi una gamba. Nel caso in cui il capo risulti essere malato il procedimento di cura o eutanasia e abbattimento è totalmente a carico dell’allevatore”.

Secondo lei quale potrebbe essere una soluzione per impedire la morte della zootecnia?

“O ci decidiamo a sburocratizzare tutto ciò che ha a che vedere con il settore della zootecnia, o in Italia è destinato a soccombere. Chiaramente non parlo dei grossi allevamenti da 2000/3000 capi che sono comunque considerati industria. La pressione burocratica e sanitaria sul mondo allevatoriale in Italia non ha eguali al mondo. Questo è il principale motivo che sta costringendo a chiudere. Il fatto che ci sia questa crisi è solamente una goccia. Se 2500 stalle hanno chiuso è perché lo avevano già deciso. Se io domani, ad esempio, porto fuori un carro di letame nell’orario sbagliato è penale. Non appena si apre la porta di una stalla si rischiano almeno 50/60 procedimenti penali, neanche una centrale nucleare rischia tante sanzioni come quelle in una stalla”.

[l.f]

 

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