Un’altra questione fondamentale rimane poi quella del ripopolamento delle acque interne e la preservazione delle specie. “Ci stiamo lavorando attivamente, sia con l’immissione di avannotti (pesci di piccola taglia), sia con la Pronta Pesca, immettendo adulti di specie autoctone, come ad esempio la Trota Marmorata” sottolinea Miniussi. “Una novità che possiamo accennare in anteprima è la possibilità, da qualche mese, di richiedere l’immissione anche di specie non autoctone al Ministero dell’Ambiente. Per questo motivo ci stiamo muovendo con la documentazione per richiedere l’immissione della Trota Iridea.”
A tal proposito, molti sarebbero inoltre d’accordo nell’avere regole che prevedano il rilascio di tutte le specie per la preservazione del pesce restante nella pesca sportiva o/e, perlomeno, l’eliminazione dell’obbligo di trattenuta e soppressione di alcune specie (es. siluro) in quanto, attualmente, risultano essere le poche concretamente rimaste nelle nostre acque.

Il ripopolamento è strettamente legato alla volontà di rispettare il periodo di frega dei pesci almeno due mesi all’anno. Durante i periodi riproduttivi, infatti, nell’Isonzo si alternano carenza d’acqua e piene improvvise a causa della diga in azione e ciò di fatto annienta uova e zone di riproduzione. Il naturalista Matteo De Luca specifica però, che, oltre a vari fattori indicati, ci sono degli elementi di carattere climatico che hanno comportato negli ultimi quarant’anni una drastica riduzione delle portate in tutti i corsi d’acqua regionali: “La riduzione degli eventi piovosi e soprattutto l’assenza di ricarica invernale data dalle nevicate sono un aspetto fondamentale. Le stesse risorgive friulane stanno soffrendo questo aspetto ed il Tagliamento nel 2020 è rimasto asciutto ad Osoppo da febbraio ad aprile.” “ L’effetto dell’hydropeaking” conclude De Luca “produce piuttosto impatti drammatici sulle comunità che vivono nelle zone marginali dei corsi d’acqua e nelle backwaters: una vera ‘trappola ecologica’ per il novellame, ma anche per larve di anfibi e più in generale per gli ecosistemi ripari.”
L’ETP sul tema ha comunicato di valutare ogni intervento in alveo e di garantire svariate tutele. A seconda dei procedimenti, sono rilasciati decreti di autorizzazioni che richiedono di rispettare alcune richieste, in altri casi di adottare tecniche meno impattanti. “Per quanto riguarda le dighe, però, la questione esula dal nostro intervento”.

Anche la ghiaia dell’alveo dell’Isonzo viene indicata da alcuni come un’ulteriore ‘causa’ di perdita di nursery in quanto, il contesto non naturale della costruzione dei doppi argini, obbliga i ghiaioni a rimanere nell’alveo andando a tappare -non potendo allargarsi- le buche profonde. De Luca sottolinea: “Il discorso del prelievo di ghiaia e le relative relazioni con la fauna ittica va debitamente contestualizzato: dipende da come, dove e quando vengono fatti i prelievi di inerti e dalle attenzioni che si pongono nelle fasi di cantiere. I prelievi non sostituiscono la naturale dinamica di un fiume, ma noi dobbiamo ricordarci che operiamo in fiumi in genere modificati e quindi l’aspetto gestionale va considerato.”

Legato ai corsi d’acqua è ancora poi il tema dell’inquinamento che influisce anche semplicemente a partire dalle portate: determinate dai cambiamenti climatici, difatti, le minori portate hanno reso inquinanti anche i semplici scarichi dei reflui urbani perché semplicemente maggiormente concentrati rispetto ad un tempo.”

Anche bracconaggio e cormorani, inoltre, influenzano la situazione della preservazione. Il direttore dell’ETP sottolinea come negli ultimi anni sia calato di molto il fenomeno di pesca non autorizzata, monitorato dalle guardie ittiche assieme al corpo forestale regionale. “Nel 2020, su 95 controlli, sono stati fatti 60 verbali di contestazione di illeciti per lo più sullo stato della licenza, eccesso della cattura o tecniche non consentite.” Per questa problematica, la soluzione più semplice sarebbe quella di intensificare i controlli, composti anche da gruppi di volontari.

Per quanto riguarda, infine, la questione cormorani, non tutti sono d’accordo a segnalarli come ‘causa di tutti i mali’. Specie autoctona migratoria, viene considerata da molti pescatori come varietà che depreda e depaupera il novellame arrivando a mangiare anche un kg di pesce al giorno. La specie non ha predatori naturali; lo stormo più numeroso si trova nel parco della Cona. L’ERPAC afferma che in realtà i cormorani arrivano a mangiarne al massimo mezzo chilo al giorno e che “gli impianti ittici sono protetti con le reti per evitare interventi cruenti nei confronti degli animali, come elencato nelle Linee guida del piano faunistico regionale. In natura, d’altro canto, andrebbero fatte scelte più ecologiche per evitare emissioni concentrate di pesce con una gestione più corretta (es. mantenendo i rifugi negli alvei, ecc.).”  I sistemi ad oggi utilizzati, come indicato sul sito della regione, sono distinti in attivi e passivi: nella prima categoria rientrano i mezzi di dissuasione acustica con spari a salve, cannoni a gas ed emissione di ultrasuoni; i sistemi di difesa passiva consistono, invece, nella creazione di barriere per impedire l’accesso degli uccelli ittiofagi. Nel breve periodo dell’ordine di alcune settimane, si registra quindi, senza l’uso di mezzi cruenti, la possibilità concreta di una buona efficacia di entrambe le metodiche.

In conclusione, tutti gli ambiti fin qui affrontati necessitano di essere costantemente calibrati e monitorati per verificarne l’andamento ed evitare effetti possibilmente devastanti nell’ambiente in questione: la conservazione dell’habitat naturale è infatti fondamentale per il pianeta ma anche per la continuazione adeguata di attività importanti come la pesca, economicamente rilevante nell’ambito regionale e risorsa centrale per moltissimi amatori e professionisti del settore.

m.p