L’irriverenza, l’anticonformismo, la femminilità all’ennesima potenza. Donne modelle, donne artiste, fotografe che fotografano altre donne e altre donne che fotografano se stesse intrappolandosi per sempre dentro un’immagine. Sono i soggetti portatori di diversità, tutti quelli esposti alla mostra fotografica IO LEI L’ALTRA – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste, al Magazzino delle Idee di Trieste (dal 19 marzo al 26 giugno 2022), organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, a cura di Guido Comis, in collaborazione con Simona Cossu e Alessandra Paulitti.
Ma a dare ulteriore enfasi è il segno indelebile che lascia l’artista Francesca Martinelli nelle visite guidate che propone all’interno della mostra, capace di aprire orizzonti scomodi e renderli accessibili con la verità delle sue parole, la conoscenza delle artiste esposte, il suo percorso personale fatto di violenti snocciolamenti di tutti i valori borghesi, le sovrastrutture sociali che comprendono l’atavico ideale della figura femminile relegata al focolare, la casa, la madre. La santa e la puttana, la bambina e la profeta. Il canto della libertà che esce da un ventre di vetri è la sua voce. Prenotare è importante, le sue visite sono sempre molto richieste, quasi a confermare tra il silenzio delle piccole folle che la seguono che una voce irriverente è ancora oggi necessaria per cambiare le prospettive arrugginite dall’omertà.
Francesca Martinelli si trova a suo agio tra le sale della mostra IO LEI L’ALTRA, come se parlasse delle sue sorelle, dei suoi cugini maschi, dei suoi avi conosciuti e riconosciuti a ogni sguardo. Tra artiste ci si sente appartenere ad un richiamo similare, fatto forse della stessa interruzione che nessuno vuole ammettere. La rottura degli schemi, la definitiva presa di posizione politica attraverso il gesto artistico, qualunque esso sia. In questo caso, per Francesca è raccontare, o meglio, decantare Francesca Woodman, Marina Abramovic, Wanda Wulz, Vivian Maier, Meret Oppenheim, Leonor Fini, la marchesa Luisa Casati, Tina Modotti, Dora Maar, Lee Miller e poi ancora e ancora dentro nella storia, dove ogni figura incontra un muro, o forse un uomo, da Man Ray che riteneva fosse più semplice fotografare le donne rispetto agli uomini perché quest’ultimi richiedevano un impegno importante: far risaltare la virilità, il ruolo sociale, il sex appeal. Invece la donna, la femmina, bastava farla spogliare, forse sedurre e poi scattare.
Tutta la mostra si basa un principio fondamentale che le parole di Roland Barthes, ben scritte in grande sul muro d’entrata della mostra, dichiarano ufficialmente come inizio del percorso: Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.
A questa frase, Francesca risponde raccontando l’immagine ritratta di Louise Bourgeois, artista fotografata da Robert Mapplethorpe nel 1982: “Giocosa e irriverente, questa donna ha attraversato tutto il Novecento. Con un sorriso beffardo guarda il fruitore e porta in mano come una baguette sotto braccio un fallo gigante. Lei lo chiamerà “Fillette”, in francese significa ragazzina, quindi la ragazzina fallo. È un gesto anti-patriarcale per eccellenza, rappresenta la propria identità artistica e intellettuale al di là delle aspettative genitoriali e le istanze della società del suo tempo.” Ma c’è di più in questo quadro, caro a Francesca e di conseguenza divenuto tale anche per chi l’ascoltava: il fotografo Mapplethorpe non era un fotografo di genere o un ritrattista, al contrario aveva una sua specifica poetica affinata negli anni della sua carriera artistica che rappresentava per lui la sua identità. La Bourgeois si presenta da lui consapevole e porta una delle sue opere più care con la quale dialogherà insieme a Mapplethorpe attraverso le loro opere d’arte. “Mapplethorpe è quello che ha abbattuto i confini e i tabù tra arte e pornografia.”
In questa mostra, divisa in undici sezioni ognuna delle quali rende conto di una diversa forma di rappresentazione dei ruoli che le donne interpretano nelle immagini, la fotografia si rivela essere un mezzo per ribaltare cliché del femminile precostituiti: “E’ un atto politico, rivoluzionario, più immediato. Distrugge i concetti del femminile nati dopo il secondo dopoguerra: mater familia, madre, donna relegata al popolare, donna che non può esprimere il femminile, una identità politica, intellettuale e culturale.”
Il corpo della donna, nella fotografia del Novecento, diventa un luogo, il luogo del sacro, del rituale, dell’azione politica, il luogo della sovversione, il luogo dell’introspezione, il luogo di ferite e fragilità che non devono più essere nascoste, ma esibite, per dimostrare che non esiste un solo modello, ma tanti modelli, tutti diversi e spesso in comunicazione tra loro. Il potere del fallo inizia a crollare insieme all’ideale mansueto di una femmina da custodire. “Oggi tutto questo può sembrare stereotipato – dice la Martinelli – ma non è assolutamente vero, perché oggi più che mai noi releghiamo la nostra immagine al selfie, che è la riduzione al minimo della nostra identità, ossia il selfie è figlio di quell’omologazione di massa per cui l’identità del singolo diventa carattere universale e non più carattere specifico. Quindi questo progetto, Io Lei l’altra, è tanto antico quanto contemporaneo. Ci deve fare riflettere su come usiamo la nostra immagine, a chi la diamo, a quale fine e per che cosa, che cosa vogliamo dire con la nostra immagine e che ruolo attraverso di essa abbiamo nel mondo. Ora, ovviamente più di adesso quella volta queste istanze erano fondamentali. Oggi, questo progetto non si rivolge ad un genere specifico, è fluido, trasversale, parla di identità universali, rompendo i canoni dei generi e delle categorie. Non c’è una identità, non ha un nome, un colore, una forma unica. Questo è quello che vedrete in questa mostra nelle storie di tantissime artiste.”
I percorsi che propone Francesca coprono l’intera bellezza della mostra, forse una delle più autentiche degli ultimi anni, ma ogni percorso verterà la sua attenzione su artiste specifiche, in modo da dar loro il giusto valore in una condivisione sempre energica, ricca di sapere, gioiosa nell’accogliere e nel far sentire l’amore viscerale che lei, l’artista degli Ex-Voto, la poetessa anarchica, l’insegnante di disegno dal vero, la portavoce di De André nelle conferenze ha innato nell’immensità del suo essere, nella sua dolcissima umiltà e nella sua sfrenata consapevolezza di rispetto e libertà che ogni corpo, ogni mente, ogni cuore merita. Soprattutto attraverso l’ascolto.
Francesca Schillaci