15.03.2022 – 08.00 – “Quando studiavo all’università sono cresciuto pensando che nel cervello tutto è fermo e che le cellule neuronali possono solo invecchiare e morire. Da vent’anni a questa parte, si sa che le cellule possono anche rigenerarsi, riparare il sistema nervoso e curare malattie gravi. Credo che questi salti concettuali nella conoscenza siano l’essenza della ricerca scientifica”. Con queste parole è stato introdotto all’ultima edizione di Festa di Scienza e Filosofia l’intervento di Gianvito Martino, neuroimmunologo, direttore scientifico IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e pioniere della ricerca sulle cellule staminali per il trattamento dei processi neurodegenerativi della sclerosi multipla. La ricerca portata avanti dal suo gruppo è cominciata all’inizio degli anni 2000 e in questi vent’anni non solo ha dato risultati clinicamente promettenti, ma ha anche aperto a nuove prospettive nel trattamento delle malattie neurodegenerative.
La sclerosi multipla conta circa 130 mila casi solo in Italia (dato del 14 dicembre 2021). Dal punto di vista anatomico porta all’assottigliamento della guaina mielinica, il tessuto che riveste e isola le fibre nervose permettendo la propagazione dei segnali elettrici che governano l’attività neuronale. Questo processo può provocare aree di perdita o lesione della mielina. A seconda dell’entità e della sede del danno, la malattia può essere più o meno invalidante, portando a disturbi visivi, muscolari, dell’attenzione e della memoria, a dolori cronici o passeggeri. Le terapie farmacologiche approvate sono a base di interferoni, steroidi, antispastici per il controllo della muscolatura, colinergici per ridurre i disturbi urinari. Ma il carattere fortemente invalidante della malattia spinge alla ricerca di nuovi strumenti.
“Le terapie per una malattia così complessa dovrebbero avere vari requisiti”, osserva Martino. Innanzitutto, agendo contro una malattia cronica, che necessita di più cicli di terapia, dovrebbero essere facili da somministrare; dovrebbero essere anche specifiche, in grado di agire selettivamente sulle lesioni. “E questa è la cosa più complicata. È difficile che un farmaco che abbia un singolo bersaglio terapeutico sia così poliedrico da trattare i vari scenari patologici che questa malattia presenta.”
Sembra che le cellule staminali del cervello riassumano le caratteristiche terapeutiche richieste da una malattia così complessa: una volta iniettate nel liquido cerebro-spinale, le cellule staminali trapiantate sono in grado di “sentire” se e dove qualcosa non va, di interloquire con l’ambiente danneggiato e di agire su di esso. Possono rimpiazzare le cellule danneggiate, promuovere il supporto trofico del tessuto responsabile della sopravvivenza dei neuroni, e la plasticità sinaptica compromessa dalla malattia, finanche diventare cellule della mielina per produrre nuova mielina. “Non sono cellule specializzate per questi compiti, ma sono in grado di adattarsi per svolgere ciascuno di essi quando intercettano un danno”, continua Martino.
La sperimentazione della terapia cellulare a base di staminali neurali sugli umani è partita nel 2017 nei laboratori del San Raffaele dalla creazione di una vera e propria cell factory che da un singolo feto ha consentito la creazione di miliardi di cellule staminali trapiantabili nell’uomo. Il gruppo di ricerca ha disegnato uno studio che valutasse la sicurezza della terapia. Ha poi discusso a lungo con l’Istituto Superiore della Sanità e con l’AIFA le caratteristiche dei soggetti da includere nel trial, poi individuati in pazienti a uno stadio non avanzato della malattia e non responsivi ad altre terapie. Infine, il trapianto.
“Con puntura lombare, per essere meno invasivi possibile, abbiamo iniettato le cellule staminali in 12 pazienti con sclerosi multipla progressiva. I partecipanti sono stati divisi in quattro coorti da tre pazienti ciascuna, a cui abbiamo dato una dose via via più alta di cellule staminali: da 50 milioni fino a 500 milioni di cellule”, riferisce Martino.
Il trattamento non ha riportato effetti collaterali gravi riferiti alla terapia e non ha peggiorato la condizione neurologica dei pazienti, dimostrandosi straordinariamente sicuro: è il risultato sperato per un trial di Fase I, che valuta la sicurezza dell’approccio.
“Prima la sicurezza, poi l’efficacia”. Il salto concettuale di questa ricerca, in Italia così all’avanguardia, sta nella comprensione di questa nostra capacità innata di autoriparare il sistema nervoso. Le staminali neurali, attivando dei meccanismi autoriparativi, possono favorirci in questo senso. Un vero e proprio cambio di paradigma nella cura delle malattie neurodegenerative. Dal 2003 l’Associazione Italiana per la Sclerosi Multipla (AISM) e la sua Fondazione hanno scommesso su quello che allora era un territorio ancora inesplorato, promuovendo e finanziando importanti progetti di ricerca sull’utilizzo di cellule staminali di vario tipo nelle terapie per la sclerosi multipla.
Tuttavia, sono ancora terapie estremamente delicate. “L’iter di creazione di un prodotto terapeutico da iniettare come le cellule staminali è estremamente complicato e passa per lunghe procedure di controllo. Occorre studiare nel dettaglio le caratteristiche di queste cellule e valutare il rischio che possano trasformarsi in tumori o di essere esse stesse portatrici di malattie.”
Nelle ultime settimane, la FDA (Food and Drug Administration) ha ribadito il suo appello alla prudenza nell’uso delle staminali a scopo terapeutico. È anche il punto su cui chiude Martino: “stiamo assistendo a una serie di viaggi della speranza nel mondo. Certe cliniche propagandano l’uso di cellule staminali di qualsiasi tipo, causando incidenti di salute molti seri”. Per questo il processo di approvazione è così lungo. “È bene che questo punto diventi chiaro a tutti: ancor prima di verificare che una terapia sia efficace, occorre che sia sicura”. Questo forza la ricerca entro tempi e vie di prudenza. “Lo so che tutti noi abbiamo fretta, che vorremmo trovare la cura a malattie così complesse, ma occorre cautela”.
di Rossella Marvulli