21.09.2021 – 08.00 – Se un giorno rubi qualcosa, diventi un ladro. Se un giorno uccidi qualcuno, diventi un omicida. E se un giorno, un solo giorno, perseguiti qualcuno, diventi uno stalker? La posizione dell’uomo non è delle migliori: già condannato irrevocabilmente per “atti persecutori”, ha scontato la sua pena ed è stato rilasciato. Una volta libero, va proprio a suonare il campanello della donna che aveva perseguitato in passato. “Chi è?” “Sono io amore mio, scendi”. La donna non apre e chiama subito i Carabinieri.
Dopo pochi minuti, il campanello suona di nuovo e la donna risponde al citofono, pensando di parlare con le Forze dell’ordine. E invece: “Dammi una possibilità, dai ti prego fammi parlare”. In breve, arrivano i Carabinieri che accertavano la presenza dell’uomo e trovavano la donna in lacrime, in uno stato di forte agitazione. La vicenda finisce davanti al Giudice e porta a una condanna per il reato di stalking. L’imputato però impugna la decisione e la Corte di Cassazione viene chiamata a valutare quanto accaduto.
La materia è regolata da alcuni principi, che i giudici così richiamano: a) per commettere il delitto di “atti persecutori” sono sufficienti anche due sole minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione”, cioè la ripetizione del comportamento criminoso; infatti, non serve che gli atti persecutori vengano compiuti per un tempo prolungato (Cass. 33842/18); b) però, nel caso in cui un soggetto sia stato già condannato per tale delitto, gli atti successivi possono essere collegati a quelli precedenti solo nel caso in cui diano vita ad un reato completo in tutti i suoi elementi; e ciò perché si tratta di un reato che, per sua natura, deve essere “abituale” e che non sussiste nel caso di un’unica, per quanto grave, condotta di molestia e minaccia (Cass. 11925/20);
Pertanto, è essenziale comprendere se l’azione dell’imputato (che ha suonato due volte il campanello a distanza di pochi minuti) sia una pluralità di azioni oppure costituisca una sola azione. Così ragionano i giudici: “nel caso di specie, l’imputato si è presentato presso l’abitazione della donna ed ha bussato chiedendole di scendere una prima volta e, dopo pochi minuti, senza che consti essersi mai allontanato, ha nuovamente bussato chiedendo alla donna di poter parlare. Dunque, non risulta che nel brevissimo arco temporale … ci si stata soluzione di continuità nel suo agire molesto, posto in essere in una pressoché immediata successione; né vi è dubbio sull’unicità del fine da lui perseguito.”
In conclusione, si è trattato di un’unica azione, che, da sola, non può costituire il reato di “atti persecutori”, perché non c’è stata un abituale ripetizione della condotta. La condanna viene così annullata. (Cassazione n. 12041/21)
[g.c.a.]