16.08.2021 – 07.30 – “Ma come facciamo a far capire che l’unico modo per tornare alla normalità è vaccinarsi?”. Così il rapper Salmo dopo il concerto-happening a Olbia senza misure di sicurezza anti Covid: moltissimi i fan presenti, accalcati e festanti. Non c’è, questa volta, chi pronostica decine di migliaia di contagiati dopo il concerto, visti i fallimenti delle previsioni precedenti (soprattutto di quella post campionati europei di calcio: praticamente nessuna influenza rilevante sulla curva di positivi). Mascherine, al concerto di Salmo, neppure l’ombra o quasi (i media minimizzano con un: “pochi avevano le mascherine”). “Nel resto del mondo fanno concerti con 100mila persone e qua no”. Ed è vero: l’industria italiana dello spettacolo è più che in ginocchio, niente discoteche estive e Ferragosto smorto, in più le norme confuse e farraginose sul Green pass hanno stroncato il tentato rimbalzo di quella dei viaggi e vacanze che stava vedendo la possibilità di una boccata d’ossigeno, e le manifestazioni, siano il festival di baite estive a Tarvisio o il Carnevale estivo di Muggia, hanno sì un po’ di gente, per fortuna, ma nel complesso molta meno del solito, soprattutto là dove all’ingresso si mettono i vigilantes a respingere chi non è etichettato di verde. A lavorare molto bene sono i locali che si sono attrezzati con spazi esterni in grado di accogliere persone in maniera adeguata: sono strapieni, non si trova un posto dove andare neppure provando a prenotare due giorni prima, ed è una ripetizione di quanto già visto nella prima riapertura italiana dopo i lockdown.
Moderna e Pfizer fanno cassa sul vaccino, in previsione dei riordini legati a un’obbligatorietà di richiamo con terza dose, di cui si parla da un po’: il prezzo aumenta circa del 15 per cento e i rispettivi CEO, bersagliati dalle critiche (in particolare per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, dai quali arriva chi cerca di entrare in Europa) dichiarano che è giusto, che per arrivare presto al vaccino si sono staccati assegni in bianco per i ricercatori e che il risultato ottenuto è stato straordinario. I fatturati di chi produce i vaccini schizzano in su del 30 per cento: Moderna chiude il secondo trimestre del 2021 con 4,4 miliardi di dollari derivanti dalle vendite e BioNTech, la società tedesca del Pfizer, si aspetta 6 miliardi di dollari di profitti per il 2021 (non specifica quanto di questo è il risultato del vaccino: l’anno scorso però aveva chiuso con 2,8 miliardi, niente male ma molto molto meno). Gli investitori impazziscono e scommettono moltissimo su questi due titoli: una pressione fortissima, e quando si muovono capitali così grandi e poteri così forti, la politica segue e asseconda. Vista l’entità dei fatturati e dei profitti, quando si parla di pandemia e di una fine di un’imposta “condizione d’emergenza” che limita la libertà e che poco o per nulla ancora motivata è (non ha basi scientifiche, ma permette di approvare decreti legge in un batter d’occhio), ma che non si vede all’orizzonte, si comincia ad avere qualche perplessità (specie quando le montagne dei comitati tecnico-scientifici partoriscono topolini che corrono tutti assieme all’interno di una scatola senza avere una direzione precisa) nei confronti di quello che oggi viene chiamato “consenso scientifico”, che raggiunge e abbraccia i media e i giornali, influenzando anche i direttori di quelli locali.
Il consenso è quella cosa che permette agli inquirenti di interrogare, in maniera separata, dieci testimoni senza che possano aver avuto modo di confrontarsi fra loro, e chiedere che cosa ricordano, che cosa hanno visto: se tutti ricorderanno esattamente lo stesso particolare di un avvenimento, è difficile che lo stesso sia falso o sbagliato. Un consenso di questo tipo è quello che ha portato a gran parte delle decisioni prese sulla conduzione dell’emergenza Covid-19: dal lockdown, alle mascherine, al proseguimento dello stato d’emergenza, al Green pass. Ha senso: chi sta al governo di un paese non può avere competenza su tutto (irrealistico pensarlo: Montecitorio non è il Monte Olimpo), e quindi ci si affida agli esperti, ai “saggi”. C’è però un pericolo: più la sfera rappresentata dalla dimensione del problema si allarga, più è necessario coinvolgere in questi gruppi di “saggi” persone che non hanno mai lavorato assieme prima e che provengono da discipline estremamente diverse, con esperienze totalmente differenti e idee che possono essere opposte: come può un non biologo decidere chi, fra i due esperti biologi che gli stanno proponendo una strategia, ha ragione? Sarà giusta la decisione di far sedere al tavolo quattro persone o ne andranno bene sei? È corretto dire che in un autobus si può viaggiare perché il numeri di minuti in cui si sta in contatto è meno di x oppure bisogna prendere il valore y? Come si fa a impedire che una decisione presa in modo sbagliato finisca per far saltare l’intera catena di provvedimenti presi, chi controlla i controllori se il popolo, tenuto distante da elezioni, ha difficoltà a farlo?
La risposta del CTU di Giuseppe Conte all’emergenza Coronavirus in Italia è stato il primo segnale di pericolo e da quel momenti in poi decine e decine di esperti in logistica, economia, trasporti, epidemiologia, medicina, sanità pubblica eccetera eccetera sono stati coinvolti in questo “consenso” che giunse ad esprimere il termine poetico delle “rime buccali” e varare il progetto dei banchi a rotelle, e che tuttora stabilisce che il caffè al banco non richiede Green pass. Le decisioni dei “comitati” si sono susseguite l’una dopo l’altra fra un evento pubblico e una mascherina e tuttora non ne capiamo gran che, delle motivazioni scientifiche alla base, né nessuno ha chiesto scusa per le decisioni ormai palesemente sbagliate che sono costate anche vite umane di malati Covid stessi: oggi campeggia sui quotidiani la questione della “mascherina pannolino lombarda” (finalmente), di qualcos’altro si parlerà ma è subentrata nel frattempo una quiescenza, e il corpo decisionale fatto di comitati tecnici principalmente politici ma con etichetta scientifica è diventato poco per poco una sorta di organismo autoimmune, che tende a proteggersi e vorrebbe assolversi. Il peccato originale quello di pensare che il virus non fosse contenibile in nessun altro modo che non fosse un lockdown “per pochi giorni, soffrire molto per finire presto”: si nascose la testa sotto la sabbia, illudendo gli italiani con uno “state in casa” che si sapeva fin dall’inizio esser falso. L’errore è stato in parte corretto; e qualche regione italiana ha fatto decisamente meglio delle altre, senza proclami di lanciafiamme ma con concretezza e meno clamore. Una mancanza di comunicazione fra esperti di discipline diverse e una certa difficoltà a lavorare assieme, in team per un interesse comune (litigi fra biologi, virologi virali ed epidemiologi non mancarono in televisione), però, sono tuttora presenti, e mancano un terreno comune e una cultura di collaborazione fra esperti. E in questo sta la fragilità della situazione di oggi: la pandemia è diventata più un confronto politico fra comunismo (quale?) e fascismo (dove?) che un argomento di discussione e collaborazione per la soluzione del problema. Dal disastroso terremoto del 1976 nacque poi la Protezione civile; dall’epidemia di Covid-19 in Italia, si spera che un organo centrale dello Stato responsabile per le questioni scientifiche e la salute dei cittadini, responsabile in una situazione di epidemia, possa risorgere su solide basi, spazzando via per sempre il ricordo dei “comitati”.
[r.s.]