09.01.2023 – 08.00 – “Una svolta storica”, “un passo che potrebbe rivoluzionare il mondo”. Così gli Stati Uniti hanno annunciato il risultato raggiunto nell’esperimento di fusione nucleare del National Ignition Facility (NIF) del Lawrence Livermore National Laboratory in California, dove per la prima volta è stata prodotta più energia di quella necessaria a innescare la reazione. Una svolta che è stata descritta come fondamentale e che potrebbe cambiare il mondo. Ma è davvero così? Ne parliamo con il professor Rinaldo Rui, dell’Università degli Studi di Trieste, direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare sezione di Trieste.
È stata definita una scoperta storica. Lo è?
“C’è un po’ la tendenza, a volte pericolosa, di definire una scoperta ‘storica’ o ‘incredibile’; si creano delle aspettative, che in questo caso non sono quelle di domani o dopodomani. Per produrre una fusione nucleare bisogna avvicinare i nuclei, superare l’enorme resistenza che c’è tra questi, fino a quando, finalmente, dopo aver usato un grandissimo quantitativo di energia, questi nuclei si avvicinano, si fondono e producono a loro volta energia. Il problema fondamentale è che, per l’appunto, c’è bisogno di una quantità enorme di energia; riuscire a produrne tanta e focalizzarla in quel punto dove si vuole avvenga la fusione.”
Qual è stato il momento di svolta della ricerca?
“I ricercatori del NIF sono stati in realtà molto bravi l’anno scorso, quando sono riusciti a trovare un sistema di puntatori laser per riuscire a focalizzare l’energia in un punto grande come la capocchia di uno spillo e innescare la reazione. Il grande risultato è quindi avvenuto un anno fa, quando hanno aumentato di tre ordini di grandezza la capacità di fare questa operazione. Da allora hanno lavorato per riuscire a produrre più energia necessaria per far partire la macchina, e questo è il punto fondamentale: per la prima volta hanno avuto un po’ più di energia in ritorno rispetto a quella utilizzata. L’operazione è però durata una frazione di secondo, e allo stato attuale, dovendo ricreare le condizioni necessarie, è possibile ripeterla una sola volta al giorno. I problemi rimangono enormi e molteplici”.
Cioè?
“Si tratta di una reazione di fusione di nuclei di idrogeno, per la precisione il deuterio e trizio, solo il primo però è presente in percentuale abbastanza elevata, mentre il secondo oltre che essere un elemento instabile e radioattivo, è anche estremamente raro e presente in pochissime quantità, quindi bisogna produrlo, perché ogni volta che questo viene utilizzato nella fusione nucleare se ne va, è perso. Quindi questo progetto non può sopravvivere perché non c’è abbastanza trizio per farlo funzionare; bisogna costruire una struttura che sia in grado di auto sostenersi, che mentre funziona produca anche il trizio per poterlo a sua volta utilizzare, producendo il materiale che serve per essere consumato.”
Esiste?
“C’è il progetto parallelo ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), una grande collaborazione internazionale, a cui collabora lo stesso INFN attraverso il Consorzio italiano RFX. In questo caso l’idea è di costruire un plasma e dare luogo alla fusione, fusione che però produca anche abbastanza trizio da poterlo utilizzare a sua volta per la fusione nucleare.”
Quali potrebbero essere le tempistiche?
“Ci sono aspetti tecnologici estremamente complicati e complessi. Quello che possiamo dire è che la fusione nucleare controllata, cioè una centrale che produca energia elettrica attraverso la fusione nucleare, non ci sarà prima di venti, trent’anni. Questo è quello che le stime più ottimistiche dicono; moltissimi di questi aspetti tecnologici sono noti ma non ci sono ancora le soluzioni”.
Cosa rende la sfida della fusione nucleare così complessa?
“Dobbiamo ricordarci che questo fenomeno avviene a temperature che sono nell’ordine di quaranta, cinquanta milioni di gradi: significa dover mantenere questa sostanza che sta fondendo, lontano da qualunque altra parete, perché qualsiasi altra parete avrà una temperatura ambiente; e quindi il contatto fra una sostanza di cinquantamilioni di gradi e una parete fa sì che questa sostanza perda immediatamente la propria temperatura e la fusione si spegne. Questo è però anche un vantaggio da un punto di vista della sicurezza, perché le centrali a fusione nucleare non possono essere pericolose perché qualsiasi errore farà spegnere la centrale, qualsiasi problema farà sì che questa sostanza, questo plasma che ha milioni e milioni di gradi, si raffreddi immediatamente e nel momento in cui si raffredda la fusione si ferma. Cosa completamente diversa dal problema delle centrali a fissione nucleare.”
Nucleare pulito, di quarta generazione, fusione e fissione. Sul tema del nucleare oggi c’è confusione?
“Il problema è puramente lessicale, fusione e fissione sono due parole molto vicine tra loro, se al posto di fissione utilizziamo ad esempio “spaccare”, capiamo bene la differenza tra le due. La fusione nucleare fonde, mette assieme sostanze, la fissione spacca il nucleo in due, cioè esattamente il processo inverso. Inoltre, la fusione fonde nuclei di idrogeno che formano un nucleo di elio che non è una sostanza radioattiva. Nella fissione invece, si prende un nucleo molto grande, come l’uranio, gli si spara contro una particella, un neutrone, questo si spezza in due parti e fornisce a sua volta energia sotto forma di altri neutroni, ed è per questo che si parla di reazione a catena quando si parla di fissione nucleare. Bisogna quindi utilizzare dei modi per rallentare questa reazione a catena e far sì che gli atomi di uranio che si spaccano siano pochi nel tempo, quello che serve per mantenere il sistema caldo, cioè per produrre quella quantità di calore che poi io utilizzo per far andare le centrali”.
I rischi della seconda sono noti.
“Nella fissione, spaccando l’uranio vengono prodotti degli isotopi radioattivi, che sono le famose scorie che nessuno vuole. Alcuni di questi isotopi decadono in migliaia e migliaia di anni e si è quindi costretti a fare lo stoccaggio, e questo è il grande problema delle scorie radioattive. Riassumendo quindi, la fusione mette insieme dei nuclei e non produce radioattività, la fissione spacca nuclei grandi e produce scorie radioattive”.
E dal punto di vista delle strutture?
“Se la fusione, nel caso in cui qualcosa vada storto, si spegne immediatamente, al contrario se qualcosa va male nella fissione, e per qualche ragione viene a mancare il sistema di raffreddamento, si va nella direzione opposta, il calore può aumentare a un livello tale che il nucleo contenente le barre di uranio può esplodere, e nel momento in cui esplode tutte le sostanze radioattive che sono contenute nelle barre di uranio, i prodotti della fissione, cioè le scorie, esplodono, si vaporizzano, finché non finiscono nell’atmosfera, e sappiamo cosa accadde a Chernobyl”.
Siamo in grado di evitarlo?
“Esistono diversi tipi di centrali a fissione nucleare, ci sono quelle di prima e seconda generazione, intrinsecamente pericolose, e poi esistono le centrali cosiddette di terza generazione e ci saranno le centrali di quarta generazione dove si cercano e si sono trovate soluzioni per rendere tutto più sicuro. Ma il problema sostanziale rimane lo stesso, il meccanismo con cui noi produciamo energia attraverso la fissione è un meccanismo per il quale bisogna tenere sotto controllo una reazione che potrebbe sfuggire di mano. Le cosiddette centrali di terza o quarta generazione consistono infatti in una struttura tale per cui diventa sempre più difficile perdere il controllo della reazione, anzi in alcuni casi, come nelle centrali cosiddette di quarta generazione, dovrebbero essere costruite in maniera tale che a fronte di un qualunque problema la reazione si spegne, ma non è facile. Ultimo ma non meno importante, la fusione nucleare non produce come sottoprodotti il plutonio, che è l’elemento primario delle bombe atomiche”.
Se si raggiungeranno i risultati sperati nei tempi previsti, come potrebbe cambiare il mondo?
“Significherebbe cambiare totalmente la nostra prospettiva sui consumi energetici. In questo momento il 70, 80 per cento dell’energia che consumiamo non è sotto forma di energia elettrica, ma è sotto forma di calore. Dal riscaldamento nelle case, ai fornelli, alla gran parte delle macchine: in questo momento abbiamo una società che utilizza molto la combustione. L’energia elettrica è circa il 20 per cento; inoltre, per produrre energia elettrica cosa si fa? Si usa il gas. Prendiamo ad esempio le automobili elettriche, funzionano a batteria, ma come ricarico la batteria? La ricarico con la corrente elettrica, ma la corrente elettrica è prodotta dalle centrali a gas. Quando avremo le centrali a fusione nucleare, la produzione di energia elettrica sarà sostanzialmente infinita, e il costo della produzione sarà così basso che la potremo utilizzare per fare qualunque cosa”.
Tra quanto potremmo avere la prima centrale a fusione nucleare?
“Si dice che intorno al 2050 dovremmo avere la prima centrale nucleare funzionante in grado di produrre energia elettrica da immettere nella rete. Tanto è vero che da qui al 2050 si prevede di spostare la percentuale di consumo di energia elettrica dal 20 al 70, 80 per cento”.
Oltre all’uso civile c’è anche il tema della difesa. Che portata potrebbe avere un’arma del genere?
“La possibilità di utilizzare i puntatori laser utilizzati nell’esperimento significa riuscire a fornire una quantità di energia spaventosa in un punto ben preciso. Bisogna ricordare però che il progetto comunque è americano, a differenza del progetto internazionale ITER a cui partecipano ben 35 stati tra i quali gli stessi Stati Uniti. Su questa tecnologia, quella americana, ci sono degli aspetti, che immagino siano degli aspetti squisitamente militari, per i quali non c’è la volontà di condividere alcune tecnologie con altri. Del resto non dimentichiamoci che i primi sviluppi della polvere da sparo non furono per motivi civili; molto spesso alcune tecnologie che vengono usate dal punto di vista civile sono un sottoprodotto di tecnologie sviluppate per i militari, lo stesso GPS che noi usiamo per i telefonini, internet stesso.”
Qual è il progetto più promettente al momento?
“Il progetto più promettente non è quello del NIF, non andrà molto lontano con questo tipo di tecnologia, perché manca il combustibile, il trizio, e questo è un problema enorme. Lì si sta puntando soprattutto agli aspetti di tipo tecnologico legati alla capacità di produrre energia per un particolare istante. Ma per produrre energia in maniera continua serve qualcosa che funzioni diversamente. Il progetto ITER mira ad utilizzare la tecnologia cosiddetta a ‘ciambella’: l’obiettivo è quello di produrre una quantità di energia dieci volte superiore a quella necessaria per accendere la reazione, mantenendola nel tempo e, soprattutto, producendo il trizio che serve per auto sostenere la reazione stessa.”
[n.p]