11.06.2022 – 07.50 – Avete in mano una bottiglia di ketchup e desiderate versarne una minima quantità sulle vostre patatine fritte: agitate allora la bottiglia, una, due, tre, cinque volte fino a quando una quantità di salsa ben superiore a quanto vi serviva inonda il piatto.
Ora sostituite il ketchup con i container nella rotta dall’Asia all’Occidente, il vostro goloso desiderio con le necessità della logistica di avere i TeU necessari e infine le patatine fritte coi porti d’Europa, Trieste compresa: e avrete il cosiddetto “effetto ketchup“, come viene definito dagli addetti al settore.
Il lockdown in corso nel porto di Shanghai ha imbottigliato nella rada migliaia di container, bloccando i traffici globali e danneggiando l’industria friulana; ora con l’allentarsi delle restrizioni e il ritorno dopo due mesi alla normalità, è previsto un afflusso di navi merci, container e non, estremamente elevato. I porti cinesi – tanto per la grandezza, quanto per l’esperienza – sono abituati a gestire simili volumi di traffico, ma è dubbio che i porti occidentali saranno in grado di navigare la tempesta in arrivo.
Gli analisti di Windward e Sea-Intelligence, citati dal Corriere marittimo, ipotizzano “una congestione che sarà più pesante in Europa e nelle infrastrutture statunitensi ancora male equipaggiate per la gestione dei grandi volumi di traffico”.
Guardando ai dati americani vi sono già 29 portacontainer in viaggio da Shanghai verso Los Angeles e Long Beach, con una capacità complessiva di carico che si aggira intorno ai 225.000 TeU.
La questione ripropone la necessità, evidenziato a suo tempo più volte dal leader degli spedizionieri triestini Stefano Visintin e dal Presidente dell’Authority Zeno d’Agostino, di disporre per il porto di maggiori aree di magazzinaggio, tali da poter accumulare riserve e garantire quella flessibilità capace di superare crisi quali “l’effetto ketchup”.
[z.s.]