13.08.2021-10.42 – Gli scienziati dell’Università dell’Alaska Fairbanks hanno analizzato la composizione chimica della zanna di un mammut lanoso, o mammuthus primigenius, per capire quanto avesse viaggiato in una vita intera.
La ricerca mostra che l’animale preistorico ha percorso una distanza equivalente ad il giro del globo, e per ben due volte.
Muniti di pelo e per questo “lanosi”, i mammut sono cugini del moderno elefante, e vagavano per le latitudini settentrionali durante il periodo del Pleistocene.
Il lavoro fa luce su quanto fossero incredibilmente mobili queste antiche creature.
“Non è chiaro se fosse un migratore stagionale, ma ha coperto una buona parte di terreno – ha detto il co-autore principale dello studio, il dottor Matthew Wooller – ha visitato molte parti dell’Alaska, il che è piuttosto sorprendente se si pensa a quanto sia grande quell’area”.
La zanna di mammut è da considerarsi un po’ come un tronco d’albero: allo stesso modo registra diverse informazioni sulla vita dell’animale e, grazie all’analisi chimica, si può risalire ai luoghi visitati nell’arco della propria vita.
Come riferito dalla CNN, proprio grazie alle zanne, i ricercatori hanno elaborato la storia di viaggio di un mammut maschio vissuto 17.000 anni fa in Alaska, i cui resti sono stati trovati vicino alla catena montuosa Brooks Range, nel Nord America.
La zanna di mammut, crescendo, si stratifica per tutto l’arco della vita dell’esemplare. Una volta tagliata longitudinalmente permette di datare non solo il periodo in cui ha vissuto ma anche la longevità dell’animale. I ricercatori ne hanno ricostruito il viaggio studiando diversi isotopi di stronzio e ossigeno, contenuti nella zanna lunga un metro e mezzo. I risultati sono stati poi confrontati con mappe che prevedono le variazioni isotopiche in diverse zone dell’Alaska.
Hanno scoperto così che il mammut aveva coperto 70.000 chilometri (la circonferenza della terra è pari a 40.000 chilometri ndr) durante i suoi 28 anni di vita sul pianeta.
Lo studio offre inoltre indizi sull’estinzione di queste magnifiche creature. Compivano viaggi di portata straordinaria e, il cambiamento geofisico che portò poi verso la fine dell’ultima era glaciale, deve aver messo sotto pressione le mandrie. In particolare, li ha limitati nella distanza che potevano percorrere per trovare da mangiare, esponendoli a un rischio maggiore di predazione.
Il lavoro del team internazionale, è stato pubblicato sulla rivista Science.
mb.r