24.07.2021-08.00 – Volgendo lo sguardo all’etimologia della parola autonomia (termine di origine greca, composto da autòs, se stesso, e nòmos, legge), è quasi scontato salti in mente l’idea di una “amministrazione” libera, al di là che si parli di singolo individuo o collettività: un concetto che, per forza di cose, rispecchia un vero e proprio diritto all’autodeterminazione.
Non è però inusuale, soprattutto nel periodo storico contemporaneo, vivere questa parola con diffidenza, associandola spesso ad una metodologia di pensiero dalle frange più estreme: sfumature politiche che, però, non per forza calzano, o rispecchiano, l’entità del termine autonomia, saturandolo verso lidi più radicali.
E, nel momento in cui l’altisonante termine risuona nel proprio nome, come ci si comporta?
Patto per l’Autonomia è un giovane movimento politico autonomista del Friuli Venezia Giulia, nato nel 2017 e che, in occasione delle elezioni regionali del 2018, è riuscito ad ottenere il 4,09% dei consensi, corrispondenti a 23.696 voti, potendo così confermare la presenza del partito all’interno del Consiglio Regionale.
Una realtà che si pone l’obiettivo di andare oltre ai colori politici, muovendosi in sinergia in favore della comunità: il Patto per l’Autonomia nasce infatti da un gruppo di cittadini e amministratori locali mossi dalla volontà di dare rappresentanza e, appunto, autonomia, ai territori regionali, rafforzando il più possibile il rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Degli obiettivi del movimento, di come una realtà autonomista viva il respiro internazionale, dell’importanza delle lingue minoritarie e della loro rappresentanza, nonché della visione di un Friuli Venezia Giulia coeso ma sfaccettato, ne abbiamo parlato con Massimo Moretuzzo, Consigliere regionale di Patto per l’Autonomia.
Patto per l’Autonomia nasce dalla convinzione che, al di là delle opinioni politiche di ciascuno, sia necessario un impegno diretto in favore del territorio e delle comunità.
Ma come si colloca rispetto alle parti politiche preesistenti?
“Patto per l’Autonomia nasce mettendo insieme sensibilità diverse: dai più progressisti a chi, invece, si vede più conservatore.
L’opinione comune, che ci ha quindi legato, è che negli ultimi dieci anni, al di là di chi fosse al Governo regionale, ci sono state una serie di scelte che non hanno tenuto conto delle esigenze del territorio.
Avendo vissuto questa situazione anche da sindaco, devo dire che spesso non ci sono state delle scelte azzeccate: purtroppo a volte si privilegia l’interesse del partito piuttosto che delle necessità che la Regione effettivamente ha”.
È da qui che Patto per l’Autonomia ha quindi preso le mosse?
“L’idea era quella di superare queste contrapposizioni, mettendo in atto una ‘corsa’ alle regionali a briglia sciolta, superando la fatidica soglia del 4%, e rientrando in questo modo nel Consiglio regionale.
Dopodiché, l’anno scorso abbiamo fatto una scelta significativa, ovvero quella di aderire all’EFA (European Free Alliance), ovvero la rete di movimenti autonomisti e indipendentisti europei, che dentro il Parlamento Europeo hanno dato vita a un gruppo insieme ai Verdi.
Ci siamo dunque voluti porre dentro ad una cornice europea che è alternativa, rispetto a frange più estreme: per noi è infatti essenziale la tutela delle minoranze e delle diversità, perchè sono costituenti per un territorio; un ideale, il nostro, che quindi mal si concilia con una visione nazionalista e legata alla sovranità”.
Quale valore viene dato, dal vostro partito, all’idea di Autonomia?
“Il tema dell’autonomia, anche in passato, viene visto spesso in modo molto conservatore, in veste di difesa dell’identità etnica: ma questa non è certamente la nostra interpretazione o visione autonomista.
Ciò a cui noi ambiamo, parlando appunto di autonomia è, da una parte, l’avvicinamento del potere decisionale al territorio, poiché porterebbe ad aver maggiore possibilità di scelta, nonché un incremento del senso di appartenenza da parte dei cittadini, auspicando quindi un maggiore senso di valorizzazione e difesa degli stessi verso il territorio.
Basti pensare alla questione ambientale: avere un forte senso di appartenenza al territorio significa che le persone decidono di mettersi in gioco per difendere i beni comuni della collettività.
Dall’altra parte invece auspichiamo una valorizzazione delle diversità, soprattutto in una zona come la nostra, sita nel cuore dell’Europa e scandita da un crocevia di culture.
Per definizione il Friuli Venezia Giulia non può che essere una terra multiculturale, che va quindi oltre alle diversità e a i confini.
Questa è la nostra accezione di autonomia, senza dimenticare una visione di prospettive fortemente europeiste: ovviamente nella cornice di una Unione Europea che sia capace di dare la giusta rappresentanza ai territori”.
Uno dei vostri punti cardine è l’importanza della maggiore relazione tra rappresentanti e rappresentati: ma come vivete invece il rapporto con l”esterno’, ovvero con le realtà che stanno al di fuori del Friuli Venezia Giulia? Può esistere un ipotetico Patto per l’Autonomia nazionale?
“Dopo aver aderito all’EFA, abbiamo lavorato in rete con altri movimenti autonomisti italiani: sono molti i soggetti che hanno deciso di intraprendere questo percorso e con i quali abbiamo dato vita a quello che abbiamo chiamato ‘Autonomie e Ambiente’, che mette assieme due importanti termini; e proprio l’ambiente, in questo contesto, è dunque un tema paradigmatico che si sposa ad una visione concreta della gestione dei territori.
Ciò che stiamo coltivando è una rete di soggettività che ha dato il via a questo significativo discorso, lavorando in continua sinergia con diverse realtà nazionali”.
In Consiglio Regionale la lingua da voi scelta per intervenire è il friulano: come mai? Non avete il timore che così venga circoscritta la vostra attività, o comunque che la comunicazione diretta diventi più articolata o limitata solo a una parte di cittadini della Regione? Vi sentite di rappresentare tutta la Regione Fvg o solo il Friuli?
“Tendenzialmente non intervengo in friulano sempre, ma spesso, perchè credo che la diversità sia un valore importante che vada preservato: pensando al nostro statuto di specialità regionale, la presenza di minoranze linguistiche è stato un elemento di rilievo per il riconoscimento dell’autonomia.
Quindi oggi valorizzare la diversità linguistica è indispensabile in una prospettiva futura: personalmente penso che quanto più ci allontaniamo dall’omologazione meglio è.
Le diversità, e porre in risalto quest’ultime, di qualsiasi natura esse siano, è un valore importante aggiunto.
Basti pensare, guardando al passato, alla Dieta di Gorizia, sotto l’impero austro-ungarico, si parlava italiano, friulano, sloveno e tedesco.
Oggi, purtroppo, non è più così, ma penso che rilanciare questo tipo di ricchezza culturale sia importante.
Il nostro obiettivo è rappresentare tutto il territorio regionale: il fatto che io parli friulano è accidentale, se ci fosse un esponente che parla sloveno, ad esempio, sarebbe stato lo stesso.
Poi chiaramente bisogna mediare: ci sono certi interventi che faccio in italiano perché si necessità di una comprensione più immediata”.
In un’ottica autonomista, come pensate che il Friuli Venezia Giulia possa destreggiarsi, e risultare rilevante, tra i grandi player economici internazionali?
“Credo ci siano due livelli di riflessione: il primo è la prospettiva europa, quindi ci sono una serie di partite che o giochi in una visione di Unione o non tocchi palla: sono infatti convinto che una regione come la nostra abbia la necessità di ancorarsi a dinamiche economiche europee.
La seconda riflessione si lega alla necessità di mettere in campo tutte quelle strategie economiche che possono scongiurare nel nostro territorio il processo di globalizzazione estrema, che rischia di portare a diversi scompensi, sia economici sia ambientali”.
Quanto è importante, specialmente in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, legato alla pandemia globale, e quali ricadute positive può avere un incremento del senso di appartenenza dei cittadini alla Regione?
“Un anno fa c’era l’auspicio che questa situazione emergenziale portasse ad un cambio di paradigma, modificando i nostri modelli di sviluppo, soprattutto sotto il profilo ambientale.
Purtroppo siamo in realtà tornati a come eravamo prima.
Proprio da qui parte la riflessione sull’importanza del senso di appartenenza, perchè si tratta di uno degli elementi irrinunciabili per provare a cambiare le cose: quando senti come tuo un territorio e una comunità, hai un deterrente contro l’aggressione all’ambiente.
Noi crediamo che il futuro del territorio sia qualcosa che non può essere sacrificata per il profitto, soprattutto di pochi”.
Ampliando lo sguardo sul lungo periodo, quali importanti obiettivi dovrebbe aver raggiunto Patto per l’Autonomia, secondo lei, entro 10 anni?
“Patto per l’Autonomia è stato costituito nel dicembre 2017, quindi quattro mesi prima delle elezioni regionali.
Questo movimento deve ancora consolidarsi e quindi l’auspicio è diventare come altri partiti, importanti, dell’EFA. Una delle cose su cui nutro molta speranza è la partecipazione delle nuove generazioni, perché ci sono diversi ragazzi che si stanno appassionando.
Proprio in favore dei giovani, infatti, faremo una Summer School a fine agosto insieme all’EFA: avremo rappresentanti dalla Catalogna, dalla Scozia e via dicendo.
Si tratterà di un’attività di formazione, che i partiti non fanno più da tempo, aprendo degli spazi di dibattito.
Supportare i ragazzi è fondamentale, a prescindere dal fatto che mettano o meno il simbolo del Patto per l’Autonomia, quindi senza chiedere tesseramenti.
Pensiamo sia importante non solo per il nostro movimento ma anche, e soprattuto, per la nostra Regione”.
[c.c]