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martedì, 29 Aprile 2025

“Essere filorussi in Slovacchia è un’altra cosa”. Tomáš Strážay, esperto di geopolitica slovacca

25.05.2021 – 09.00- Fin dalla secessione dalla Cecoslovacchia (1993), la Slovacchia sembra perseguire una strada a sé stante. Durante gli anni ‘90 fu l’unico degli Stati del neonato Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) a non gettarsi con entusiasmo nelle braccia dell’Occidente, ma a provare a posizionarsi a metà tra la rinata Russia post comunista e l’ex blocco occidentale. Un’attitudine con cui rischiò di perdere il treno per Nato e Ue, acciuffato solo in extremis. Grazie a un’inversione a U molto tardiva, la Slovacchia riuscì a entrare nell’Ue assieme a tutte le consorelle post-comuniste nel 2004. Da allora Bratislava si è riconfigurata come il membro più fedele a Bruxelles e Berlino tra gli Stati della regione. Nel 2009 ha adottato l’euro, mentre i tre colleghi mitteleuropei battono ancora oggi la propria moneta (lo złoty polacco, la corona ceca, il fiorino ungherese). Negli ultimi anni, che hanno visto l’emersione di un dissenso anti-Ue sempre più radicale tra i membri Ue oltrecortina, la Slovacchia si è inoltre tenuta ben alla larga dalle vampate euroscettiche di Polonia e Ungheria, ma anche dal pragmatico attendismo della Cechia, accodandosi alla Germania in tutte le occasioni utili. Al contempo, altra peculiarità sui generis, gli slovacchi restano una delle popolazioni dove è più forte il sentimento filorusso e dove permangono sacche di popolazione che si auto-percepiscono come parte dell’Europa orientale, una blasfemia nel resto della regione, dove la rivendicazione di appartenere a pieno titolo all’Occidente è uno dei più incontestati pilastri dell’identità nazionale. Dopo essersi concentrati sulla politica estera di Germania, Serbia, SloveniaCechia e Italia, abbiamo esplorato quella della Slovacchia con Tomáš Strážay, direttore del Centro di ricerca dell’Associazione per la politica estera slovacca (SFPA, nell’acronimo slovacco).

Quali sono le priorità geopolitiche della Slovacchia?

Tutti i principali attori concordano che il paese deve appartenere saldamente a Ue e Nato. Noi slovacchi ci riteniamo membri a pieno titolo dell’Ue, essendo sia nell’area Schengen che nell’Eurozona, gli unici del Gruppo di Visegrad.

 Lo scorso febbraio Bratislava ha adottato le sue nuove Strategie di Sicurezza e Difesa. Come vengono definiti Russia e Cina, i due avversari del blocco Usa-Ue cui appartiene la Slovacchia? 

In questo documento la Russia viene identificata come una minaccia per la sicurezza nazionale. Ciò non significa che Bratislava non gradirebbe un rapporto più cordiale con Mosca, ma solo che riconosce i rischi che la politica estera condotta da Putin comporta per l’Ue e per l’Europa centrale, nello specifico. In questo documento è stato ribadito il supporto all’integrità territoriale dell’Ucraina. La Cina viene definita come un importante partner economico, ma si nota che l’interferenza di Pechino negli affari economici può risultare nociva, come già si osserva nei Balcani occidentali. Vedere il Montenegro, oggi a un passo dallo sprofondare nella trappola del debito cinese. È probabile che nei prossimi anni la Cina diventi il rivale principale dell’Ue. La Slovacchia, quindi, non intende allacciare rapporti speciali con Pechino.

Quella la visione delle classi dirigenti. Numerosi sondaggi, come il dettagliato report Globsec pubblicato lo scorso aprile, suggeriscono però che ampie fette della popolazione slovacca siano filorusse. Il 42% degli slovacchi intervistati ritiene la Russia il principale partner strategico del paese, una percentuale seconda solo a quella della Serbia (59%). 

Le élite politiche e la cittadinanza seguono due logiche diverse. Le prime hanno un’attitudine solidamente filoccidentale e riconoscono la Russia come una una potenziale fonte di destabilizzazione. Molti slovacchi, invece, reputano la Russia come un paese amico. A mio avviso, è una prospettiva romantica, popolare spesso tra i cittadini più anziani, che non conoscono il paese e credono che sia ancora più o meno come l’Unione sovietica. La Russia di oggi, invece, persegue una politica imperiale che potremmo definire “ottocentesca”. Ci sono anche alcuni giovani che vedono nella Russia un’alternativa al mainstream occidentale ed è naturale che i giovani cerchino alternative. Tuttavia, sono entrambe due visioni superficiali: non di rado, facendo qualche domanda più approfondita, emerge che queste persone non hanno un’idea molto coerente. Inoltre, quando si tratta di scegliere – elezioni o referenda – il supporto per la permanenza nell’Ue è incontrastato. Discorso diverso per la Nato, che è effettivamente molto meno amata in Slovacchia di quanto lo sia negli altri paesi della regione. Personalmente, credo che i leader politici non debbano sempre conformarsi alla volontà della maggioranza della popolazione, ma agire da statisti, difendendo l’interesse nazionale del paese che rappresentano.

Sempre parlando di rapporto con la Russia, la Slovacchia fu l’unico paese della regione a non tagliare i ponti con Mosca subito dopo la fine del comunismo. Come si arrivò al cambio di rotta?

Negli anni ‘90 il governo autocratico di Vladimír Mečiar perseguiva una politica estera molto ambigua, fondata sull’idea che un paese dell’Europa centrale dovrebbe relazionarsi con tutti i vicini, non interloquire solo con un lato. Una linea che condannò la Slovacchia all’isolamento. Fu Mikuláš Dzurinda, premier tra 1998 e 2004, a orientare il nostro paese verso l’Occidente, traghettandolo nelle strutture euro-atlantiche. Il governo attuale segue quel corso.

Come si spiega quindi l’affaire Sputnik V? L’ex primo ministro Igor Matovič si è dovuto dimettere per aver acquistato, di nascosto dai suoi partner di coalizione e dall’opinione pubblica, dosi del vaccino russo.  

Il fatto che abbia dovuto dimettersi conferma che una politica filorussa oggi in Slovacchia non è perseguibile. Credo che Matovič abbia commesso un errore a causa della sua scarsa esperienza. Non ha calcolato il contesto geopolitico in cui si sarebbe collocato il suo gesto.

Dialogando con gli analisti dell’Europa centrale, ho spesso l’impressione che abbiano il timore di dire che la propria popolazione sia filorussa. In Europa occidentale questo non accade: in Italia ci sono molte forze politiche che invocano apertamente una maggiore cooperazione con Mosca. È un’impressione corretta? Perché questa differenza? 

Sì, concordo. Non va dimenticata la storia. Essere filorussi in Slovacchia è un’altra cosa. L’Italia non ha passato metà del Novecento a fare da zona cuscinetto tra i due blocchi, e dalla parte sbagliata, come l’Europa centrale. Durante gli anni ‘70 le popolazioni della regione iniziarono a sentire di appartenere all’Occidente e a considerare la separazione dall’Europa occidentale come frutto di un tradimento, di un errore. Questa sensazione di “essere stati ceduti” come una merce, e non come uno Stato sovrano, ha marchiato la nostra auto-identificazione. Anche quelli che ambirebbero ad avere un rapporto più disteso con la Russia, tra cui peraltro ci sono anche io, restano consapevoli dei rischi cui si va incontro. Ucraina docet. Abbiamo probabilmente paura che la storia si ripeta. Di conseguenza non mettiamo mai in dubbio i vantaggi derivanti dall’appartenenza a Nato e Ue, anche quando troviamo legittimo criticare queste istituzioni.

Nel memorandum siglato nel 2019 tra Autorità portuale di Trieste e Cina si prevedeva un aumento dello scambio commerciale tra Trieste e Košice, la seconda città della Slovacchia. Ora quel progetto sembra naufragato, ma la proposta ha suggerito che connettere lo scalo giuliano all’interporto di questa città della Slovacchia orientale possa essere una mossa intelligente. Anche alla luce di questo, credi che Trieste potrebbe ambire a diventare il porto principale della Slovacchia? 

I nostri porti di riferimento restano Rotterdam e Amburgo. Per l’Adriatico penso che Koper/Capodistria sia più ambito di Trieste. E sta crescendo anche l’interazione con Fiume/Rijeka. In prospettiva slovacca, potrei sbagliarmi, Trieste non offre un valore aggiunto rispetti ai due rivali. Paradossalmente, penso che proprio il tentato sbarco degli investitori cinesi abbia allarmato le autorità slovacche. Bratislava guarda con estremo sospetto agli investimenti di Pechino, che è molto più brava ad annunciare intese commerciali che ad attuarle. È accaduto anche da noi nel 2017 quando l’ex premier Robert Fico accolse il primo treno merci cinese a Bratislava, annunciando che ne sarebbero arrivati ogni settimana: si parlava di un volume di 500 treni all’anno. Quel treno, però, rimase l’unico. Quando si dialoga coi cinesi, bisogna sempre distinguere tra velleità e possibilità reali.

s.b

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