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La leggenda nera del Medioevo: nel Settecento l’Età di mezzo viene apprezzata?

11.01.2021 – 08.00 – Il Settecento: è proprio da qui che i criteri di giudizio dell’Età di Mezzo andarono ad amplificarsi, diffondendosi in seguito anche nei secoli a venire.
Infatti, in questi anni, il periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano venne preso in esame quale trionfo esclusivo delle barbarie, condito dalla ‘mancanza di lume’ delle superstizioni religiose che, per lungo tempo, avrebbero intaccato la libertà degli individui, condizionando sia lo sviluppo culturale sia quello civile.
L’illuminismo, che caratterizzò fortemente il Settecento, produsse un’idea del periodo medievale prettamente negativa, specialmente sotto il profilo economico.
In Europa infatti, con la fine dell’Impero e l’avvento delle invasioni barbariche, si assistette ad una interruzione delle relazioni economiche tra città e campagna, dando inizio in questo modo a un nuovo regime agrario, che rendeva difficile una possibile accumulazione delle ricchezze nel settore agricolo. Una svolta la si ebbe a partire dalle città: nonostante partissero da una base di povertà diffusa, i cittadini riuscirono a raggiungere libertà e indipendenza, riuscendo a ritagliarsi finalmente un’egemonia, soprattutto sui territori rurali con i quali ripresero le relazioni economiche, riuscendo nel tentativo di ripresa.

Addirittura, con le Rivoluzioni americana e francese, si canalizza la colpa del privilegio dell’aristocrazia e del clero sulle barbarie del Medioevo.
Ma tutto questo conglomerato di repulsione verso l’Età di Mezzo nacque già tra Quattrocento e Cinquecento, dando adito alla visione negativa del periodo anche nei secoli successivi.
Nel Settecento, e in seguito anche durante l’Ottocento, si assiste ad un giudizio serrato – ovviamente negativo – di passioni intellettuali, spirituali e politiche post Imperiali, oltre che un’indagine approfondita dei testi e della simbologia del tempo. All’interno del libro “Guida allo studio della storia medievale”, Paolo Cammarosanoriporta un aneddoto caratteristico, nonché ben rappresentativo della visione che si aveva del Medioevo in quegli anni: “Nel settembre del 1786, in viaggio per Verona, Wolfgang Goethe si era soffermato sulle rive del Garda a disegnare le rovine e la torre del castello di Malcesine. Le persone del luogo lo avevano preso per una spia, ed egli aveva cercato di spiegare l’interesse di artisti e viaggiatori per le antiche rovine, come l’Arena di Verona. Bene l’Arena che era cosa romana, gli era stato risposto, ma il castello di Malcesine? E Goethe si era prodigato in un ampio discorso per persuadere che non solo le antichità greche e romane, ma anche quelle dell’età di mezzo, meritavano attenzione.”

Nonostante l’aura che aleggiava sull’Età di mezzo fosse prettamente negativa, si manteneva un occhio di riguardo, e soprattutto di indagine e sentimento artistico, per le rovine medievali. Stesso lustro non venne mantenuto per la tradizione poetica che, ridotta all’osso, venne spesso relegata ad un genere ‘nero’, aleggiante di mistero, tradizioni popolari e oscurità. Ma è un altro ambito che rappresenta il protagonista vero e proprio della medievistica dell’Ottocento: lo sviluppo scientifico. Fin dai primi mormorii di un diritto all’istruzione generale e del principio per il quale chi ha esperienza di ricerca scientifica può anche insegnarla, si organizzò – specialmente in ambiente tedesco – un’immane impresa di edizione delle fonti medievali. Ovviamente, osservando questo grande lavoro a Berlino, è difficile poterlo disancorare da una componente politica e ideologica: sprizzante è infatti la volontà di rivendicare un passato collettivo tra le popolazioni di lingua tedesca, notoriamente frammentate in molteplici microcosmi, cercando di mettere in risalto il grande peso che il periodo ebbe sulla ‘costruzione d’Europa’.

Quindi, non è una semplice computazione e edizione dei testi, ma rappresenta un lavoro culturale che univa al suo interno sia problemi filologici o eruditi sia un’importante componente emotiva e sentimentale. In questo modo, come fosse una sorta di fendinebbia, questa emotività legata alle tradizioni popolari e all’interesse per le lingue e le loro evoluzioni, portarono – in periodo di Restaurazione e Risorgimento – alla nascita di svariate forme di medievalismo, con una rivalutazione del Periodo di Mezzo e, soprattutto, della sua arte. Paradossalmente si assiste ad un lustro – che ad oggi appare quasi anomalo vista la concezione generale del Medioevo nel nostro presente – di un periodo ammantato da diversi orli dorati: da quello delle rovine di Goethe al medievalismo dei poeti nostalgici di un’unità cristiana dalla fede vivida e pulsante. Ma questa corrente incentrata sulla riscoperta non rimane circoscritta in ambiente germanico, realizzandosi in parallelo anche in Inghilterra e Francia, incentrandosi però maggiormente sul momento gotico.

Anche la nostra Penisola non si sottrae al rinnovato interesse per le ‘cose medievali’, che viene ben presto influenzato soprattutto dall’apertura al pubblico degli archivi, in un Paese in cui gli scritti medievali erano ricchi e pregni di contenuto.
Accostato a queste riedizioni medievali che via via andarono moltiplicandosi, nell’ideale comune viene a crearsi un’esaltazione dei Comuni cittadini medievali come un’epoca aurea per livello culturale e spirito di “indipendenza” dallo straniero – rappresentato essenzialmente dall’Impero tedesco – e da qualsivoglia tipo di tirannia.
Il Medioevo viene quindi visto anche come faro di conoscenza, incommensurabile fonte di avanguardia e civiltà e non solo quale periodo buio senza alcuna accezione degna di nota

[La rubrica “La leggenda nera del Medioevo” è frutto dell’adattamento della tesi di laurea “La leggenda nera del Medioevo. Un viaggio tra retrograde falsificazioni e verità sorprendenti” di Chiara D’Incà e, in veste di relatore, la prof. Miriam Davide, nell’ambito del corso triennale in ‘Discipline Storiche e Filosofiche’ dell’Università degli Studi di Trieste]

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