20.04.2021-18.00 – Sextortion, revenge porn, privacy: temi caldi che, nell’ultimo periodo, certamente, non sono ormai sconosciuti all’ideale comune, visto che, con l’esplosione di internet, il rischio di incappare in situazioni sgradevoli di questo genere non è un pericolo così distante.
In un mondo dove ormai reale e digitale vivono in una perenne compenetrazione, è necessario tenere a mente che, nonostante l’apparente impalpabilità della rete, quando si naviga ci sono delle responsabilità e, ancor più, è doveroso tutelarsi e non nuocere agli altri.
Per la diffusione di immagini, fotografie o video di intimità, o nudità, senza alcun consenso, tra l’agosto 2019 e lo stesso mese del 2020, secondo il rapporto del servizio analisi della Direzione centrale della polizia criminale, sono stati denunciati 718 casi di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Le vittime sono per l’81,62% di sesso femminile.
La legge relativa a questo genere di situazioni è molto giovane ed è chiamata Codice rosso (legge 69 del 9 agosto 2019), che ha modificato il codice penale attraverso l’introduzione dell’articolo 612 ter, che si integra anche con quello di interferenza illecita nella vita privata: “È punibile con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.
La stessa pena si applica non solo a chi si procura le immagini o le riceve dal diretto interessato/a, ma anche a chi, le ricondivide, le pubblica o le diffonde senza il consenso delle persone rappresentate.
La pena è inoltre aumentata se il reato è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è, o è stata, legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La legge prevede inoltre che, per quanto riguarda il materiale intimo non consensuale, il processo di denuncia segua una corsia preferenziale.
In questo percorso legale bisogna ragionare a mente lucida e la vittima, nonostante desideri ardentemente l’eliminazione di tutto il materiale in questione, dovrebbe conservarlo, perché potrebbero essere delle utili prove davanti al giudice.
Ma attenzione, fare screenshot, come spesso si crede, non basta: chat, immagini o siti web diventano prove per i giudici se quest’ultime sono acquisite con modalità che ne garantiscono originalità e integrità.
L’utente deve dunque agire cercando il più possibile di imprimere le prove: per quanto riguarda i siti web uno dei migliori metodi è sicuramente Perma.cc, un servizio che permette di conservare il sito all’interno di un archivio personale. E con lo stesso meccanismo possiamo archiviare anche post pubblici di Facebook, Twitter o Instagram.
Parlando invece delle chat, il procedimento è un po’ diverso, perché il contenuto è all’interno di un profilo social che richiede un’autenticazione tramite password.
Si può utilizzare Conifer o Osirt, servizi che permettono di realizzare una sessione gratuita di navigazione che registra tutti i nostri movimenti attraverso un browser apposito. Oppure, attraverso la funzionalità ‘esporta’, possiamo estrarre una conversazione WhatsApp o Telegram e salvarla sul nostro computer o telefono.
Una volta fatta la cernita di tutte le prove, è necessario rivolgersi il prima possibile alla Polizia postale o alla Procura per querelare o per presentare un esposto.
[c.c]