27.09.2023 – 09.00 – Nel vibrante mondo della moda, Shein si è affermato come una forza inarrestabile. Il marchio di fast fashion cinese è riuscito a scalare le vette del successo in un batter d’occhio, grazie a un mix di astuzia algoritmica, marketing aggressivo e soprattutto prezzi stracciati. Tuttavia, dietro il fascino di Shein si celano profonde contraddizioni e, il suo pubblico principale, la Generazione Z, sembra essere inconsapevolmente coinvolta in un controsenso impressionante. Il documentario “Untold: Inside the Shein Machine” trasmesso da Channel4, ripreso poi da Marta Camilla Foglia e Milena Gabanelli in un dettagliato articolo sul Corriere della Sera, ha gettato una luce inquietante sul funzionamento interno di questo marchio. Nel cuore dell’industria cinese della moda, il colosso ha implementato pratiche di lavoro che sfidano ogni concetto di etica e dignità umana: si parla di lavoratori costretti a 17-18 ore di lavoro giornaliere con un solo giorno di riposo al mese. Il salario base? 4.000 yuan mensili, circa 540 euro. Un dato insignificante se paragonato ai profitti giganteschi del marchio. Ma non finisce qui. Agli operai è richiesto di produrre 500 capi al giorno, guadagnando solo 40 centesimi per ogni pezzo. Se un capo è difettoso beh, semplice, vengono trattenuti due terzi della paga giornaliera del lavoratore…
Condizioni che violano chiaramente le leggi cinesi, ma Shein ha dichiarato di indagare a riguardo e di promuovere audit regolari tramite agenzie di terze parti. Le immagini segrete catturate da Untold però, rivelano una situazione ben differente da quella raccontata dall’azienda. L’ascesa di Shein durante la pandemia è stata inedita, il suo catalogo che sembra infinito e i prezzi irresistibili hanno generato profitti che superano quelli di giganti come Zara e H&M messi insieme, con una valutazione di Shein che si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari. È interessante però soffermarsi proprio sulla clientela principale di questa azienda, la Generazione Z, quella nota per la sua sensibilità verso temi come la sostenibilità ambientale e i diritti dei lavoratori.
Un controsenso difficile da comprendere: il marchio che conquista i cuori e le menti dei più giovani è uno dei peggiori trasgressori quando si tratta di etica aziendale e di rispetto per l’ambiente. L’industria della moda del fast fashion, rappresentata in modo esemplare da Shein, ha un impatto devastante. La produzione a basso costo richiede enormi quantità di acqua e l’uso di sostanze chimiche dannose, vale lo stesso per altri marchi noti come per esempio Zara, Bershka, Pull&Bear, solo per citarne alcuni. I prodotti, infatti, contengono microplastiche in quantità allarmanti e alcune indagini di Bloomberg hanno anche scoperto la presenza di sostanze chimiche tossiche in alcuni capi.
L’Unione Europea sta lavorando per rendere l’industria tessile più sostenibile, promuovendo tessuti durevoli, di qualità e informazioni trasparenti dalle aziende che li producono. Shein ha sicuramente conquistato la Gen-Z con i suoi prezzi irrisori, la moda veloce, una scelta ampissima di capi e stili tra cui scegliere, ma ora è arrivato il momento che i più giovani si facciano portavoce concreti dei valori che sostengono.
La moda può essere accessibile senza compromettere l’etica, la dignità umana e l’ambiente.
[m.m]