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sabato, 19 Aprile 2025

Bullismo femminile, un fenomeno ancora poco indagato

15.05.2023 – 08.30 – La violenza attraversa la vita di tante, troppe ragazze e donne. Di questo fenomeno molto ora è conosciuto. Sappiamo che nel mondo più di una donna su tre, a partire dai 15 anni d’età, ha vissuto almeno un’esperienza di violenza fisica o sessuale (le molestie sono ancora più frequenti) esercitata prevalentemente da un partner, marito, fidanzato, compagno o ex (World Health Organization, 2019).
Sappiamo che la violenza fa male a chi la subisce, e che può drammaticamente impattare sul benessere delle donne e delle ragazze che ne sono vittime.
Sappiamo che questi comportamenti possono colpire anche le ragazze giovani, che quando ne sono vittime vedono un rischio aumentato di andare incontro a problematiche nella sfera della salute fisica, psicologica, sessuale.
E poi ci sono cose che pensiamo di sapere, fenomeni che crediamo di conoscere o che attirano l’attenzione perché “diversi”, o perché mettono sotto la lente d’osservazione il sesso femminile non solo come vittima ma anche come possibile autore di violenza. Questo sembra accadere nel bullismo femminile.

Il bullismo come fenomeno in senso generale è stato oggetto di studi sin dagli anni Settanta del secolo scorso, e descrive i comportamenti prevaricatori, offensivi e ripetuti nel tempo esercitati tra coetanei, bambini o adolescenti in un contesto prevalentemente scolastico. A caratterizzarlo sono l’intenzionalità, la sistematicità e un forte squilibrio di potere tra autori e vittime.
Le ricerche in proposito tendono a dire che gli autori sono prevalentemente maschi e che, sebbene le vittime possano essere di ambo i sessi, il bullismo colpisce di più le ragazze.
Eppure, esiste un fenomeno che anche negli studi sul bullismo è rimasto ancora poco indagato, ovvero il bullismo femminile.
A volte si dice che il bullismo dei ragazzi sia più fisico, mentre quello delle ragazze più psicologico; che quello dei maschi sia più diretto, mentre quello delle femmine più indiretto. In realtà poco si conosce di quello che accade nei gruppi femminili e delle dinamiche che li caratterizzano.

Da uno studio condotto dal Laboratorio di psicologia sociale dell’università di Trieste (Romito, Paci, Beltramini, 2007), che ha coinvolto più di 700 giovani di entrambi i sessi sia attraverso la compilazione di un test anonimo, sia nella partecipazione a focus group (gruppi di discussione) per indagare modelli di mascolinità e femminilità, credenze sui ruoli sessuali ed esperienze di violenza in adolescenza, è emerso quanto forte sembri essere il controllo sociale esercitato sulle ragazze, anche tra di loro. Le adolescenti, infatti, da una parte sentono di dover aderire alle aspettative dei ragazzi, dall’altra a norme proposte o imposte dalle altre ragazze, pena l’esclusione sociale attraverso il ricorso al meccanismo della cattiva reputazione (“è una poco di buono, è brutta, non è abbastanza femminile”…). Senza arrivare a situazioni di bullismo, in generale tra le ragazze sembra quindi affermarsi poca solidarietà.
Ma perché questo può accadere?
Poche ricerche si sono dedicate specificatamente a questo tema ma è possibile formulare alcune ipotesi, come tra l’altro stanno facendo alcuni studiosi dell’Università di Verona in partnership con altre Università italiane (De vita e Burgio, 2023)

Come afferma Lucia Beltramini, psicoterapeuta esperta di tematiche legate alla violenza di genere, “è possibile che il cosiddetto bullismo femminile abbia le stesse radici culturali di altre forme di violenza di genere. Il contesto socio-culturale in cui viviamo, di stampo patriarcale, tende infatti ancora a veicolare il messaggio che la figura femminile abbia meno valore nella società̀. Una delle possibili spiegazioni al bullismo femminile è che per acquisire un potere e uno status maggiori – all’interno del genere femminile ma soprattutto nei confronti dei maschi – possa risultare accettabile sottomettere le altre.
Le forme di bullismo al femminile (come isolare, parlare alle spalle, umiliare, insultare, ma anche aggredire fisicamente) potrebbero quindi essere lo specchio di un sessismo che le ragazze hanno interiorizzato e che si riflette in comportamenti di sopraffazione all’interno del genere femminile”.

E non ci si può non chiedere quanta sofferenza si può provare quando proprio chi potrebbe essere più simile a te – una ragazza con una propria coetanea – è quella che ti umilia, ti esclude, ti denigra o ti aggredisce.
Continua Beltramini: “In una società in cui ci sarà maggiore parità di genere si auspica che anche fenomeni di questo tipo vengano meno, che il femminile possa sempre valorizzarsi all’interno del genere femminile stesso e non aspettando necessariamente l’approvazione di uno sguardo maschile, e che le ragazze possano rafforzare sempre di più un legame autentico di solidarietà da portare poi come modello anche nella vita adulta”.

Fortunatamente esempi virtuosi si ritrovano anche nella società e nella cultura e vanno incoraggiati. In senso preventivo, con ragazzi e ragazze “un ruolo importante può essere giocato da tutte le fonti di possibili modelli positivi, anche tratti dai mass media” – sostiene la psicoterapeuta, impegnata attivamente in attività di prevenzione nelle scuole. “A mio parere qualcosa sta cambiando” – afferma Lucia Beltramini. “Ad oggi, ad esempio, anche in alcune serie tv si possono trovare dei modelli più positivi rispetto al passato. E anche la violenza, e il possibile riscatto dalla stessa, può essere narrato correttamente”.

Avere la possibilità di riconoscere comportamenti disfunzionali in un prodotto cinematografico potrebbe aiutare a poterli poi individuare nel proprio quotidiano. Una sola scena può potenzialmente stravolgere una prospettiva culturale. Conclude la psicoterapeuta “Ad esempio, nella seconda stagione della serie tv “Sex Education” c’è la volontà di raffigurare un immaginario di solidarietà femminile tra un gruppo di adolescenti molto diverse tra loro e che inizialmente non vanno assolutamente d’accordo. Ma stando insieme, parlando e condividendo esperienze, scoprono di avere un punto in comune, drammatico, ovvero il fatto di essere state tutte vittime di molestie sessuali. Da lì, dalla condivisione di questi vissuti, troveranno il coraggio di sostenersi l’un l’altra e creeranno un autentico legame di amicizia”.

La differenza di genere rappresenta quindi una lente che potrebbe spiegare anche i fenomeni di bullismo femminile, da sempre poco raccontati. Forse bisognerebbe iniziare a documentarsi, comprendere e rinominare ciò che conosciamo poco, o quasi per niente.

di Morena Pinto

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