Europa Centrale
29.03.2021 – 10.00 – Slovacchia-Russia: Il governo di centro-destra guidato da Igor Matovič, entrato in carica poco più di un anno fa, si sta sfaldando. Molti ministri hanno già rassegnato le dimissioni e al momento non si escludono elezioni anticipate.
Perché conta: Per la sua genesi e per le sue possibili conseguenze, la crisi politica è al contempo anche una crisi geopolitica. Il casus belli che l’ha fatta scoppiare ha squadernato le contraddizioni intrinseche della politica estera slovacca. Dopo aver sostenuto per mesi che Bratislava si sarebbe attenuta alla indicazione di Bruxelles, Matovič ha ordinato l’acquisto di 200 mila dosi del vaccino russo Sputnik V all’insaputa dei suoi alleati di governo, limitandosi a chiedere dietro le quinte l’imprimatur del ministro della Salute, Marek Krajčí, suo compagno di partito. Solo quando lo scorso primo marzo i cargo con i vaccini russi sono atterrati all’aeroporto di Košice, la seconda città più importante del paese dopo la capitale Bratislava, Matovič si è premurato di informare alleati di governo, stampa e opinione pubblica. Proprio in quella settimana, coincidenza amara, la Slovacchia registrava il peggior tasso di mortalità per Covid-19 al mondo. Messi di fronte al fait accompli, i partner della coalizione sono subito insorti chiedendo la testa del premier. Al posto di calmare le acque, Matovič ha difeso la propria scelta affermando che “qualunque vaccino che salvi vite è ben accetto”. In seguito il premier ha aperto alla possibilità di dimettersi (restando comunque nel Consiglio dei ministri), a patto che gli alleati ottemperino a una serie di condizioni, tra cui le dimissioni di alcuni ministri, molto in vista e rivali del premier, che negli ultimi mesi l’hanno apertamente contestato. In attesa di conoscere l’epilogo la crisi politica, il suo significato geopolitico è già distillabile. Nell’attuale quadro politico slovacco, questa coalizione è probabilmente l’esecutivo più filoccidentale che si possa formare. Quindi, che il premier del governo più filoccidentale attualmente concepibile in Slovacchia rischi la poltrona con una mossa smaccatamente filorussa ricorda come l’orientamento del paese mitteleuropeo rimanga lo stesso, a prescindere da chi siede al governo e dalle contingenze: cervello a Ovest, cuore a Est.
Per approfondire: La faida diplomatica tra Slovacchia e Ucraina scoppiata per una battuta [Linkiesta]
Ungheria – Cina: Una recente indagine di Direkt36 sostiene che l’Ungheria venga utilizzata come base per le spie cinesi in Europa.
Perché conta: L’inchiesta è stata una delle prime a soffermarsi minuziosamente sulle attività dell’intelligence cinese in Ungheria. Stando a quanto scoperto dal portale, le azioni di spionaggio avvengono soprattutto in ambito universitario e sono non di rado praticate da studenti. Molte delle ragazze e dei ragazzi cinesi che vanno a studiare in Ungheria finiscono a raccogliere informazioni per le autorità del proprio paese. Il numero di universitari cinesi in Ungheria è cresciuto fortemente nell’ultimo decennio. Secondo l’Istituto statistico ungherese, nel 2013 c’erano solo 446 studenti cinesi in terra magiara. Nel 2019 il numero era circa sei volte tanto. Direkt36 sottolinea che, sebbene non tutti gli studenti cinesi presenti in Ungheria siano spie, il Partito comunista cinese si è dimostrato molto risoluto nel convincere i propri connazionali a prestarsi a questo tipo di attività. Dove non bastano i richiami al patriottismo e gli incentivi economici, subentrano le intimidazioni, rivolte a parenti ed amici rimasti in patria. Questi studenti, così come alcuni affaristi approdati in Ungheria per fare business, operano come una sorta di spie amatoriali. Non conducono osservazioni approfondite e meditate, ma captano informazioni, per esempio partecipando a conferenze pubbliche, che in sé possono anche essere secondarie, ma che assemblate permettono alle autorità cinesi di avere un quadro preciso di ciò che avviene in Ungheria. Non necessariamente, però, gli 007 cinesi si insediano in Ungheria per spiare gli ungheresi. Budapest può ben fungere da testa di ponte per diramarsi nei paesi dell’Europa che conta. Specie se si ha in tasca il passaporto magiaro. Lo schema dei “passaporti d’oro” varato dal governo ungherese nel 2012 ha permesso a molti stranieri facoltosi di acquisire la cittadinanza ungherese. Possibilità sfruttata da circa 20.000 persone in questi otto anni: tra loro, l’80% era composto da cittadini cinesi.
Per approfondire: Quanto è forte l’influenza della Cina in Ungheria [Linkiesta]
Balcani Occidentali
Bosnia – Turchia: Incontrando ad Ankara i tre rappresentanti della presidenza tripartita bosniaca il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha piazzato alcuni colpi notevoli.Ha siglato un accordo per costruire l’autostrada Sarajevo-Belgrado, promesso di consegnare vaccini e offerto la Turchia come mediatrice per la Bosnia nelle diatribe con Croazia e Serbia.
Perché conta: Le azioni compiute dal leader turco in questa occasione sembrano prelevate direttamente dal manuale dello stratega perfetto. Poche volte gli incontri di questo livello hanno una così nitida caratura geopolitica. Innanzitutto, Erdoğan si è assicurato la costruzione del tratto dell’autostrada Sarajevo-Belgrado che correrà su suolo bosniaco. Anche il tratto in Serbia sta venendo costruito da un’azienda turca, ed è stato finanziato in parte dalla turca Exim Bank e in parte dallo Stato serbo. Il sottotesto è chiaro: l’autostrada Sarajevo-Belgrado sarà un’autostrada turca. L’infrastruttura è ritenuta una delle principali tra quelle che dovrebbero incrementare la connettività e l’integrazione dei Balcani occidentali. Al momento il viaggio in auto tra le due capitali dura almeno cinque ore, una media di circa 55 km/h. Finora, tuttavia, il progetto era rimasto in stallo, in quanto le due entità amministrative della Bosnia, la Repubblica serba e la Federazione croato-musulmana, non erano riuscite ad accordarsi sul percorso. Archiviato il capitolo infrastrutture, Erdoğan ha piazzato un secondo colpo, avventurandosi in uno dei campi che oggi va per la maggiore tra gli influencer geopolitici: i vaccini. Il governo turco si è impegnato a consegnare 30 mila dosi di vaccino al partner balcanico, che finora si è dimostrato molto carente per quanto riguarda l’importazione del farmaco più richiesto del momento. Ad oggi in tutta la Bosnia ci sono solo 50 mila dosi: le 40 mila di Sputnik V che ha recuperato la Repubblica serba e le 10 mila di AstraZeneca che la Serbia ha elargito alla Federazione croato-musulmana. Dulcis in fundo, il sultano ha anche rispolverato un po’ di grandeur post-ottomana, sbilanciandosi con un paio di promesse ambiziose. La prima: portare lo scambio commerciale Turchia-Bosnia al volume di un miliardo di euro “in breve” – al momento è di circa 650 milioni, secondo la presidenza turca. La seconda, ancora più grandiosa: accreditarsi come facilitatore per la risoluzione delle varie dispute bilaterali in cui è impantanata la Bosnia, inaugurando due format (Turchia-Bosnia-Croazia e Turchia-Bosnia-Serbia), dove risolvere le controversie. Anche qualora si concretizzassero, difficilmente queste due iniziative potranno andare molto lontano.
Per approfondire: i Balcani non sono né saranno più sotto il tacco turco [Limes]
Kosovo-Israele-USA: A metà marzo il Kosovo ha inaugurato la propria ambasciata a Gerusalemme. È sia il primo paese europeo che quello a maggioranza musulmano a farlo.
Perché conta: Come già osservato da questa rubrica in occasione dell’apertura di un ufficio diplomatico a Gerusalemme da parte della Cechia a inizio mese, corroborare il proprio legame diplomatico con Israele, anche al costo di inimicarsi amici potenti, è oggi uno dei modi che gli alleati degli Usa adoperano per spiccare agli occhi di Washington. La mossa chiarisce infatti come il Kosovo abbia un unico obiettivo, che fagocita qualunque altra priorità di politica estera: aumentare il numero dei paesi che lo riconoscono come Stato indipendente, potendo contare sul supporto incondizionato del protettore transatlantico. Esattamente quello che Israele aveva fatto lo scorso settembre, nel quadro degli accordi siglati alla Casa Bianca tra Kosovo, Serbia e Usa, diventando il 117esimo Stato a riconoscere il Kosovo. Gli accordi prevedevano anche il trasferimento delle ambasciate dei due paesi balcanici da Tel-Aviv a Gerusalemme. La Serbia, tuttavia, continua a nicchiare, sebbene in base al documento sarebbe tenuta ad attuare la disposizione entro il primo luglio. La politica estera multilaterale perseguita da Belgrado è allergica a strappi così drastici che la sbilancino eccessivamente verso un partner, mettendo a repentaglio i rapporti con gli altri. Remore che il Kosovo, de facto un protettorato Usa, può invece risparmiarsi. Questa azione ha meritato a Pristina la condanna di uno dei suoi alleati più importanti, la Turchia, nonché quella dell’Unione europea, che continua a opporsi al trasferimento delle ambasciate dei paesi membri nella Città santa finché non sarà trovato un accordo definitivo sull’assetto territoriale della Palestina.
Per approfondire: Il Kosovo può essere solo americano [Limes]
[s.b]