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sabato, 19 Aprile 2025

“Mamma son tanto felice perché”: il pubblico “dentro”. Da Udine a Genova, passando per Napoli

09.04.2022 – 09.00“Mamma son tanto felice perché” è un’opera teatrale di e con Angelica Bifano nata da un frammento monografico di dieci minuti; tassello di un puzzle del progetto tutto al femminile, “File Rouge”, incaricato da un’associazione sulle pari opportunità di Udine nel luglio del 2016 alle cinque attrici del Collettivo l’Amalgama. Un frammento che nel tempo si è trasformato in un monologo di un’ora che porta in scena, senza sosta e narrazione, il tema della famiglia attraverso un acceso confronto, durante un pranzo domenicale, di tre generazioni di donne, la mamma di ottant’anni, la figlia di cinquanta e la nipotina di otto anni. Dopo il recente successo del 19 e 20 di marzo nella Sala Assoli di Napoli, questa sera 9 aprile il debutto al Teatro Garage di Genova. “Mamma son tanto felice perché”, non è di Angelica Bifano. È Angelica stessa che si sveste sul palco e diventa ognuno di noi, o meglio, entra in ognuno di noi stimolando le corde di quel violino scordato che rappresentano la parte più profonda dall’essere umano. Spesso usciamo di casa, mascherati a festa, per interpretare quel personaggio che ci aiuta ad affrontare al meglio l’incontro con l’altro. Ma se ci fermiamo a riflettere, cos’è che ci rende realmente unici? Cosa determina ciò che siamo? La risposta non è poi così lontana: la “banale” quotidianità. Gesti ripetitivi fotocopiati da inconsapevoli retaggi del passato, comportamenti cristallizzati nel tempo che danno il meglio di sé stessi attorno al classico tavolo del pranzo della domenica in famiglia. Sintesi perfetta di ciò che siamo e da dove arriviamo. Che lo si accetti o lo si rifiuti come un demone da esorcizzare, su quel tavolo è “apparecchiata” la nostra storia, la nostra origine.

Angelica Bifano. Photo Credit Marcello Merenda Photography

 Angelica com’è nato il progetto? 

“Il progetto è nato da uno spettacolo del Collettivo l’Amalgama che si chiama “File Rouge”. Uno spettacolo tutto al femminile che ci venne commissionato da un’associazione sulle pari opportunità di Udine subito dopo il Diploma alla Nico Pepe. Quando uscimmo dall’Accademia tornammo nelle nostre città, io a Napoli, Miriam a Treviso, Federica e Clara a Milano e Caterina a Udine; quindi, ci chiedemmo come riuscire a creare un progetto in comune pur vivendo in luoghi diversi. Così ci venne l’idea di creare dieci minuti a testa su di una tematica femminile a noi cara. 

Alla fine, come sei arrivata a decidere di portare a teatro un dialogo familiare di tre generazioni di donne? 

“Dopo che ci venne fatta la proposta dall’associazione, a dicembre di quello stesso anno venne a mancare mia nonna. Un evento molto importante nella mia vita, ma soprattutto quello che mi colpì fu il distacco tra mia nonna e mia zia. Un rapporto che, come in molte famiglie, fu un rapporto conflittuale, estenuante ma necessario. Tuttavia, la separazione tra queste due donne, con l’urlo di addio di mia zia fu per me talmente forte da pensare “queste due donne non si possono separare così”, quindi decisi di mantenerle unite per sempre attraverso il teatro. Dall’elemento autobiografico che è stato quell’istante che mi ha dato l’incipit da cui trarre ispirazione sono poi passata, attraverso questo pranzo domenicale dove interpreto 11 personaggi, a raccontare del contesto del Cilento, della famiglia, del rapporto tra generazioni e soprattutto della figura femminile. Una figura messa in primo piano non a caso per fare risaltare una società matriarcale molto presente nel Sud Italia. In questo spettacolo, come nei prossimi due perché è pensato come una trilogia, le voci protagoniste dei racconti sono sempre figlie. Il punto di vista che sto analizzando è quello di chi viene dopo e raccoglie ciò che è stato riversandolo su sé stesso. È una ricerca sul tema della famiglia essendo il nostro primo confronto, è lì che si forma parte del nostro carattere. Attraverso i miei personaggi si parla dell’essere umano, della sua complessità, delle sue incrinature, delle sue fratture, tutti elementi necessari per poterne leggere i comportamenti”. 

Come hai risolto, a livello drammaturgico, la complessità di questo dialogo tra 11 personaggi che dovevano passare attraverso la tua singola figura? 

“Quello che a me realmente interessa è avvicinare le voci della vita quotidiana a quelle della creazione attraverso una scrittura contemporanea. Mi spiego. Parlo di scrittura contemporanea perché in “Mamma son tanto felice perché”, e anche nei successivi, c’è sempre una modalità di linguaggio quotidiano e diretto. I dialoghi si snocciolano senza che ci sia una voce narrativa che spieghi il contesto e introduca i personaggi facendo da collante. Ho deciso di lasciare solo i dialoghi. Questa è stata la vera sfida, far dialogare 11 personaggi tra di loro in modo perfettamente distinguibile attraverso un unico corpo.”  

Qual’è stato in tutto questo tuo percorso il ruolo di Giovanni Battista Storti? 

“Giovanni mi ha aiutata in qualche modo a partorire quello che avevo in mente, e forse già nel corpo, e a trasformarlo in questo monologo a più voci per fargli prendere forma e renderlo leggibile per il pubblico.” 

Il tuo rapporto con il pubblico? 

“Il mio rapporto con il pubblico si basa su di una condivisione, affinché attraverso le storie che racconto riesca ad immedesimarsi e ricordare qualcosa che gli appartiene. In questo spettacolo, come in altri, mi chiedo sempre perché sto raccontando questa storia? Qual è la necessità di raccontarla? Nel pranzo di famiglia in “Mamma son tanto felice perché”, per esempio, lì c’è qualcosa di prezioso che merita di essere raccontato.”

Com’è stata l’esperienza a Napoli? 

“Ero tesa perché è un pubblico che conosco, con cui sono andata a teatro insieme e non solo, con cui ho parlato di teatro. L’agitazione, dunque, era dovuta al fatto che portavo, proprio qui, uno spettacolo in cui per la prima volta ero anche drammaturga e come attrice mi facevo carico di 11 personaggi. Poi sono stata felicissima perché ho sentito, anche da autrice, che il testo è diventato quel contenitore di tematiche e di dinamiche che il pubblico aveva voglia e bisogno di sentirsi raccontare.”

 

Collaborazione alla messa in scena Giovanni Battista Storti
Disegnatore luci Federico Calzini
Spettacolo vincitore Premio Internazionale Lydia Biondi 2018
Premio Controvento 2019
Con il sostegno di Mittelfest, Interno5 e ex Asilo Filangieri

Classe 1992. Diplomata nel 2013 all’Accademia Internazionale di Teatro di Roma, e nel 2016 alla Civica Accademia D’Arte Drammatica Nico Pepe (Udine). Lavora con Anatolij Vasiliev, Juri Alschitz, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Spiro Scimone e Francesco Sframeli, Alessandro Serra, Davide Iodice, Ar turo Cirillo, Marco Sgrosso, Elena Bucci, Carolyn Carlson e Julie Anne Stantak.
Nel 2016 fonda con altri nove colleghi il Collettivo L’Amalgama che vince nel 2017 la rassegna Intransito e nell’Ottobre 2019 il Premio Residenza Studio Teatro indetto dal Teatro Nazionale di Toscana, con il nuovo progetto “Qui e Ora”, scritto da Roland Schimmelpfennig, diretto da Andrea Collavino e prodo to dal Teatro della Tosse di Genova, il CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia e il Teatro della Pergola di Firenze.
Nel 2019/20 lavora con Luciano Melchionna e Lello Arena in “Miseria e Nobiltà”, produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro; nel 2020 collabora per la residenza teatrale “Scarpetta Sui te” con Francesco Saponaro e nel 2021 lavora con Davide Iodice per “Hospes- It is” drammaturgia di F. Pisano, produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale.
Il suo percorso drammaturgico inizia nel 2017 con Renata Molinari presso l’Accademia Teatrale Veneta e prosegue nel 2020 con i corsi “Officine di drammaturgia” di Lucia Calamaro.
Negli anni successivi si interessa al tema della famiglia e nel 2018 scrive ed interpreta il primo testo “Mamma son tanto felice perché” con la collaborazione alla messa in sena di Giovanni Battista Storti, attore del Teatr Cricot2 di Tadeusz Kantor. Nel 2021 lo spettacolo viene selezionato per il Festival Mittelyoung e, nello stesso anno, scrive la seconda drammaturgia sul tema della famiglia: “Noi siamo invece”.

[l.f]

 

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