14.12.2021 – 08.30 – Per chi si dedica a un’attività criminale, è opportuno conoscere le pene cui va incontro nell’infrangere la legge. Per non avere sorprese. Ad esempio, il ladro dovrebbe sapere che se ruba qualcosa e viene beccato, verrà punito “con la reclusione da sei mesi a tre anni” oltre a una multa. Ma anche tra i ladri ci sono le specializzazioni e, oltre al ladro generico, c’è il “topo d’appartamento”, quello che ruba in casa della gente. Rubare in casa è più grave e la pena è maggiore. Infatti, chi ruba in un appartamento o nelle sue pertinenze è punito “con la reclusione da quattro a sette anni” oltre a una multa più salata.
Il topo d’appartamento, dunque, va incontro a pene più severe, mentre il “topo di strada” opera col rischio di condanne meno gravi. E cosa succede se un topo di strada, in perfetta buonafede, ruba, viene arrestato e, poi, condannato come se fosse stato un topo d’appartamento? Il senso di ingiustizia – ed anche quello di appartenenza ad una specifica categoria di malfattori – toglie il sonno all’imputato che, onesto sottrattore di beni altrui in strada, non trova corretta la pesante condanna inflittagli come se avesse rubato “in casa” a qualcuno.
La questione è complessa e, per risolverla, è necessario capire bene cosa si intende per “furto in abitazione”. Infatti, l’abitazione non è solo l’appartamento dove vivi, ma anche le sue pertinenze, cioè quegli spazi che completano la tua dimora, che sono strumentali all’utilizzo dell’abitazione. Ad esempio, il pianerottolo è una tipica pertinenza: mica vivi sul pianerottolo, ma lo utilizzi sempre e ti è necessario per accedere all’appartamento. Magari qualcuno ci dorme saltuariamente quando rientra tardi e ubriaco, ma non è questo il punto. E le scale? Sono un’altra pertinenza, come il cortile condominiale o l’atrio dell’edificio.
Nel nostro caso, il ladro ha commesso un furto proprio al limite della legge penale. Infatti, ha rubato i due portoni condominiali. Dal suo punto di vista professionale, è chiara la sua parziale innocenza: non si trattò di “furto in abitazione”, bensì di semplice “furto”, poiché lui non ha rubato qualcosa da un appartamento o dalle sue pertinenze. Non è nemmeno entrato nell’atrio del palazzo. Si è limitato a sottrarne i portoni.
Esaminata la questione, i giudici della Cassazione osservano che “I portoni asportati erano ubicati proprio all’ingresso – negli androni – degli edifici condominiali, a servizio e protezione anche delle private dimore”, così rientrando proprio tra le pertinenze delle abitazioni tutelate dal Codice penale con la pena più grave. Insomma, il “topo di strada” si ritrova suo malgrado ad essere qualificato come “topo d’appartamento”, con tutte le conseguenze del caso. (Cassazione n. 8421/20).
[g.c.a]