26.02.2021 – 14.52 – Il settore dei matrimoni sta vivendo una pesante crisi a causa della pandemia. Normalmente nella nostra regione si celebrano 3500 matrimoni all’anno, ma l’anno scorso il 90% delle cerimonie è stata annullato o posposto causando a catena una perdita per l’intero indotto di circa 300 milioni di euro. A livello nazionale la situazione è altrettanto critica, infatti, dei 195mila matrimoni previsti solo il 17% è stato effettivamente celebrato.
Solitamente, un matrimonio comporta una spesa media di 30mila euro, ma difficilmente si vedranno cifre simili nel prossimo futuro. Infatti, anche se l’80% delle coppie che ha rimandato la cerimonia prevista l’anno scorso al 2021 o al 2021 ha dichiarato di non voler ridurre budget o servizi, gli studi rivelano che coloro che vorrebbero convolare a nozze nel prossimo futuro, viste le prospettive economiche, è probabile che ridurranno le spese all’essenziale.
E la crisi dei matrimoni pesa a cascata su un vasto numero di settori. Nel solo Friuli Venezia Giulia si contano 2500 aziende solo di abbigliamento e calzature per le quali lavorano circa 6mila addetti. E il settore matrimoniale impatta anche gli ambiti come agenzie di viaggio, trasporti, alberghi, ristorazione, fotografi, musica, bomboniere e oggettistica, parrucchiere ed estetiste, fioristi e pasticceri, animazione e babysitting, immobiliare e arredamento. In totale solo nella nostra nostra regione sono coinvolte nella crisi del wedding 16mila imprese (400mila a livello nazionale) per cui lavorano 46mila persone, circa il 5% della popolazione.
In aggiunta alla crisi ad ampio spettro causata dalla caduta verticale nel numero dei matrimoni si è espressa Confcommercio Federmoda Fvg sottolineando che: “Il settore ha bisogno di attenzione da parte del governo con contributi e fondi ad hoc, sospensione dei versamenti fiscali e agevolazioni mirate a consentire la sopravvivenza per migliaia di aziende che altrimenti hanno serie probabilità di fallire”.
Difatti, il numero di aziende a rischio chiusura è molto altro, e oscilla tra il 13 e il 25 percento del totale se la crisi pandemica, come sembra, non sarà risolta entro luglio di quest’anno. E anche una volta che la situazione sarà tornata alla normalità le difficoltà delle imprese tarderanno a ridursi, perchè tra la commessa e il pagamento della cerimonia passano in media sei-otto mesi; il tempo necessario per ideare e organizzare il matrimonio nei minimi dettagli.
Nei cinque anni antecedenti alla pandemia, il settore stava però registrando una crescita costante del 5%, quindi vi era stato anche un grosso investimento nel comparto sia per la clientela interna che estera. Per evitare che vi siano fallimenti di massa che andrebbero poi a pesare sull’ampia filiera retrostante e possibilmente ritornare alla crescita pre Covid-19 serviranno sostegni pubblici al comparto, come quelli promessi dall’Assessore Bini, ma anche un adattamento della filiera verso matrimoni più piccoli, personalizzati e meno tradizionali. A tal proposito un dato interessante è quello riguardante la tipologia di cerimonie che hanno subito un maggior calo: se in totale a Udine i matrimoni sono calati del 42%, il crollo decisamente più netto è stato quello dei matrimoni in chiesa scesi quasi del 63% contro circa il 38% delle unioni in comune. Per Trieste, non sono disponibili i dati, ma è presumibile che siano analoghi visto che, già prima del covid, la nostra provincia era quella con la percentuale più alta di nozze civili pari circa al 70%, contro una media nazionale pari a poco meno del 50%.
In generale, anche per quanto concerne il settore delle nozze si riscontra il dilemma causato da tre problemi uniti in maniera inestricabile: la necessità di proteggere vite umane contro quella di proteggere l’economia, la necessità di proteggere la capacità delle persone di sostenersi economicamente e l’estrema interconnessione della nostra economia.
Infatti, se preoccuparsi dei matrimoni può sembrare un problema risibile in un momento come quello attuale, lo diventa assai di meno quando si considera il numero di persone la cui vita può essere impattata dall’onda d’urto anche in settori non così apparentemente collegati come la produzione di concimi o la riparazione di macchinari per calzaturifici. In generale non rimane che sperare in una veloce campagna di vaccinazioni che riduca il numero di infezioni e i sostegni pubblici al settore per ridurre il numero di uscite dal mercato. Ma quest’ultime saranno in parte inevitabili e colpiranno sproporzionatamente le realtà che non si dimostreranno in grado di adattarsi alle mutate circostanze.
a.z