31.03.2023 – 13.20 – Verso una Regione decentralizzata in cui vengano amplificate le vocazioni delle aree vaste, anche attraverso un policentrismo regionale delle funzioni da affidare ai singoli territori. Sviluppo di un sistema di aggregazione e cooperazione dei Comuni. Riorganizzazione del sistema sanitario regionale che parta dalle nomine dei vertici aziendali, individuando professionisti di alto livello in ambito nazionale. Programmazione e pianificazione di interventi puntuali che permettano una transizione ecologica ed energetica al di fuori di logiche d’investimento speculative. Mantenere ciò che dello stato dell’arte funziona come base da cui partire. Il Programma elettorale della colazione di Centro Sinistra (Patto per l’Autonomia, Partito democratico, Movimento 5 stelle, Open Sinistra Fvg, Slovenska Skupnost e Alleanza Verdi e Sinistra), che vede in Massimo Moretuzzo il candidato alla Presidenza della Regione, ha sicuramente una sua visione chiara, pragmatica e lungimirante su quale potrebbe essere il futuro del Friuli Venezia Giulia.
Punto debole della Sanità è il sistema di gestione organizzativo. Quali sono i primi passi che intendete fare per ovviare a questo problema?
La prima azione è quella di partire dalle nomine dei vertici aziendali, individuando professionisti di alto livello anche in ambito nazionale. Cosa che non è stata fatta nell’Amministrazione Fedriga, andando ad impattare negativamente sull’organizzazione complessiva del sistema. Per quanto invece riguarda il grave problema della fuga del personale sanitario intendiamo ricucirne i rapporti per cercare di interromperne la fuoriuscita. Pensiamo anche solo al diktat che si è verificato per cui i medici non potevano parlare con la stampa. Ecco noi vogliamo ridare voce alle categorie mediche e infermieristiche, a tutti quei soggetti che fanno parte delle professioni sanitarie.
Per quanto riguarda la sanità territoriale come intendete muovervi?
In questo caso non vogliamo utilizzare solo le risorse del Pnrr per la costruzione delle Case della Comunità, ma partire con una azione forte d’investimento sulle persone che devono lavorare dentro quelle strutture. Oggi siamo davanti ad un attacco che è stato perpetrato ai danni della sanità di prossimità con il dimezzamento dei distretti sanitari, così come è stato un errore fermare lo sviluppo delle “micro aree” che rappresentano un’esperienza straordinaria studiata in diverse parti d’Italia e non solo. Mettere in discussione questa esperienza credo sia sbagliato; quindi, vanno invece rilanciate, sostenute e prese ad esempio come modus operandi vincente.
Un altro passo da compiere, per noi indispensabile, è quello di riorientare gli investimenti sulla sanità pubblica e quindi fermare il processo di privatizzazione in atto. Le linee guida del 2019 della Giunta Fedriga prevedevano di destinare il 40% delle risorse per abbattere le liste d’attesa a strutture private. Ecco, Io credo che sia un concetto ideologicamente sbagliato.
A proposito di accorciare in tempi brevi le liste di attesa cosa intendete fare?
Dire che dimezzeremo le liste d’attesa in pochi mesi significa solo fare propaganda, e noi non vogliamo prendere in giro le persone contribuendo ad aumentare la sfiducia nella politica. Oggi serve dire che i problemi relativi alla sanità ci sono e vengono da lontano, da molto prima di questa legislazione. Tuttavia, ciò che è bene far presente è che in questi cinque anni molte cose non sono state affrontate; quindi, sono peggiorate nonostante tante risorse disponibili. Le liste di attesa si affrontano attraverso una riorganizzazione complessiva del sistema, anche in termini di personale. Questo vuol dire togliere pressione alle strutture ospedaliere rafforzando quelle territoriali, come ad esempio i pronto soccorso che oggi sono in grandissima difficoltà, o decentrando alcune funzioni come quello della gestione delle cronicità.
Affermate che la Regione non deve essere solo il luogo della programmazione, della pianificazione strategica, ma anche una struttura complessa in grado di gestire “altre” funzioni tecniche, gestionali ed amministrative. Può spiegare questo punto?
Innanzitutto, noi abbiamo in testa la visione di una Regione decentrata. In questi anni abbiamo vissuto un impoverimento dei piccoli Comuni, alcuni hanno perso fino all’ottanta per cento del personale in contrapposizione ad una Regione che si è invece ingigantita aumentando il numero di dipendenti, occupandosi anche di cose che non le competevano. Un esempio banale è il fatto che si sia trovata ad occuparsi dei contributi alle Pro Loco dei piccoli Comuni. È necessario invece il riconoscimento di un policentrismo regionale delle funzioni da affidare ai singoli territori. Noi abbiamo proposto un’idea di Regione decentrata con politiche di area vasta e di superamento di un’architettura funzionale di chi invece vorrebbero riproporre le province. Bisogna dargli la possibilità di esprimere la loro vocazione amplificando quelle competenze regionali che oggi sono invece sono parzialmente sviluppate.
Mi faccia un esempio concreto?
Il Friuli orientale potrebbe essere il luogo dove si svolge e si potenzia la politica internazionale e transfrontaliera della regione. GO2025 presenta un’opportunità straordinaria e noi dovremmo pianificare lì tutta una serie di azioni coordinate insieme al Gruppo di Cooperazione Transfrontaliera. Ad esempio, la mobilità a Gorizia, tuttavia, segue le logiche pre-muro e non è ancora collegata in modo efficiente a Nova Gorica, così come ci potrebbe essere una politica sanitaria fatta in modo più coordinato. La stessa gestione del fiume Isonzo che ha bisogno di investimenti importanti per pulire e prevenire tutta una serie di forme di inquinamento e sversamento nel fiume, o vengono gestite in modo transfrontaliero, oppure non possono essere risolte. Questo è solo uno degli esempi che riguardano la possibilità di far emergere la vocazione di un territorio e amplificarla attraverso azioni coordinate.
Quando si riferisce a rigenerazione territoriale cosa intende?
Un altro aspetto importante riguarda la rigenerazione del territorio attraverso logiche di governo anti-speculative dello stesso. Oggi abbiamo migliaia di ettari di terreni agricoli che sono oggetto di progetti di campi fotovoltaici, promossi nella maggioranza dei casi da fondi di investimento speculativi. Questo è il frutto di una mancata programmazione e rivendicazione della competenza sul territorio da parte della Regione. Siamo privi di una visione lungimirante e di come vogliamo essere nei prossimi anni per andare davvero verso una logica di transizione ecologica ed energetica, e superare l’utilizzo delle fonti fossili da qui al 2045. Per noi uno strumento sensato, al fine di affrontare questa transizione, è quello delle comunità energetiche. Le proponemmo ad inizio legislatura, ma non ci ascoltarono.
Il tema delle aree vaste implica una riorganizzazione del territorio, in che modo vorreste procedere?
Credo che si debba andare nella direzione dell’aggregazione e collaborazione fra Comuni. Non ci sono altre strade possibili. Rivendicare le province oggi significa non affrontare la situazione di estrema difficoltà in cui si trovano i piccolissimi Comuni. Per noi l’unica cosa possibile è spingerli verso percorsi di aggregazione. Siamo convinti che sia importante partire dallo stato dell’arte e far funzionare le cose che ci si sono. Un esempio è ripartire dalla riforma Roberti con l’istituzione delle comunità. Riforma che decollò solo in montagna perché lì era obbligatoria. Per farla funzionare bisogna aiutare i Comuni a mettersi insieme per condividere funzioni e servizi, spingendo sulla digitalizzazione dei processi, attraverso incentivi economici, assunzione del personale, implementazione della fibra ottica ecc. I Comuni stanno implodendo, sono destinati a morire per inerzia. Si pensi che oggi nei loro cassetti ci sono circa 700 milioni di euro fermi per opere che non riescono a partire.
Cosa intendete per Cooperative di Comunità?
Il tema della cooperazione e il mondo delle cooperative sono importantissimi per affrontare alcune sfide e quelle situazioni di difficoltà che si verificano soprattutto in alcuni territori. Abbiamo proposto uno strumento importantissimo per affrontare alcune situazioni emergenziali ed è quello di trovare una quadra sulla Cooperative di Comunità. Ci sono tantissimi piccoli borghi rurali o di montagna, ma anche quartieri dei capoluoghi che vedono chiudere uno dopo l’altro i piccoli esercizi commerciali, le botteghe, le osterie. Questo rappresenta non solo un tema economico, ma anche di welfare. Stanno chiudendo i luoghi delle relazioni, i luoghi in cui si matura un senso di comunità. Aprire delle cooperative che siano in grado di affrontare questi temi, riaprendo spazi della collettività o promuovendo negozi multifunzionali potrebbe essere utile per ridare una spinta in chiave economica e sociale.
Quale sarebbe la funzione dell’Assessorato alla Cooperazione?
C’è un altro grande tema che coinvolge il mondo della cooperazione ed è quello della co-progettazione e co-programmazione. Due strumenti indispensabili per affrontare i temi dell’integrazione socio sanitaria, della prevenzione, del disagio, del disagio mentale, ma non solo. In tal senso in questa regione abbiamo delle esperienze che sono state pioneristiche. Siamo la terra della riforma Basaglia, una terra che sotto molti punti di vista ha visto nascere e consolidarsi dei soggetti che vengono studiati da tutto il mondo. Siamo convinti che, per tutta una serie di elementi, sia indispensabile avere un assessorato dedicato che si occupi di questo mondo, che lavori in termini di innovazione economica e sociale in strettissima sinergia con le Istituzioni, sia a livello regionale, sia locale e che sia di supporto a queste realtà.
Cosa intende per Misura Attiva di Sostegno al Reddito?
È chiaro che dipende da cosa succederà a Roma rispetto all’eliminazione o ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Una misura che sicuramente non ha funzionato soprattutto nel meccanismo di rapporto con l’occupazione, ed è sicuramente da rivedere. Tuttavia, non ci si può dimenticare di quella fascia di popolazione che ha bisogno di un sostegno. Non possiamo girare la testa dall’altra parte, è necessario individuare degli strumenti che permettono di affrontare questa questione. Avendola vissuta in prima persona come sindaco di un piccolo comune, la “misura di inclusione attiva” è uno strumento di contrasto alla povertà interessante. È gestita direttamente dai Comuni, con un forte coinvolgimento dei sindaci e dei sistemi sociali, per l’individuazione di quei casi che hanno realmente bisogno. Qualora appunto, le cose a Roma dovessero andare nella direzione in cui stanno andando, sarà indispensabile trovare una soluzione di questo tipo a livello regionale.
Come pensate di affrontare il problema dei Neet?
È sicuramente indispensabile un maggiore sforzo di ripensamento del sistema generale della formazione. Il tema dei NEET, come quello dell’occupazione dei giovani nel mondo del lavoro, va affrontato con misure ad hoc che prevedano un coinvolgimento del mondo delle imprese più pregnante. Dobbiamo riuscire a far dialogare in modo molto più efficace il mondo imprenditoriale con gli Enti di formazione ed i centri per l’impiego. È una delle soluzioni per far fronte all’attuale mismatch che oggi esiste tra aziende che chiedono personale e decine di migliaia di persone che non studiano o non lavorano. Bisogna lavorare in una logica di integrazione dei sistemi, qualsiasi sia l’ambito a cui ci si riferisca.
Emergenza siccità?
A questa domanda rispondo sempre che non siamo davanti a un’emergenza. Era largamente prevedibile ed è una delle grandi colpe che imputiamo all’Amministrazione Fedriga. In questi cinque anni di bilanci ricchissimi non hanno investito le risorse necessarie per prevenire la carenza d’acqua. Non è stato messo un soldo sulla riduzione delle perdite della rete acquedottistica, dove c’è una media regionale di spreco del 50 per cento. Non è stato fatto nulla rispetto alla prevenzione della dispersione dell’acqua in agricoltura. I dati del Consorzio di Bonifica Pianura Friulana, che gestisce il 70 per cento delle terre irrigue regionali, ci dicono che abbiamo ancora oltre 13.000 ettari di irrigazione a scorrimento, mentre avremmo già potuto trasformarla in irrigazione a pioggia, dimezzando così il consumo dell’acqua. C’erano tutte le competenze per farlo, sarebbero bastati 50 milioni all’anno per quattro anni per risolvere una situazione che gli agricoltori evidenziano da molto tempo.
Rispetto a questo cosa dicono i dati sul cambiamento climatico del Fvg?
I report dell’Arpa, depositati due mesi dopo l’inizio della legislatura, avevano evidenziato chiaramente che l’evoluzione del clima del Friuli Venezia Giulia è quella di uno spot climatico. Un luogo in cui l’innalzamento della temperatura colpisce in modo molto più netto e marcato rispetto ad altri contesti italiani; quindi, si sarebbe dovuto davvero agire con tempestività. Si è preferito girare la testa dall’altra parte, finanziare con decine di milioni di euro nuovi impianti di risalita sciistici a 1000 metri di altezza e questo significa essere fuori dalla storia. Oggi paghiamo le conseguenze di queste scelte scellerate. Si tratta di assumere delle posizioni, o decidiamo che è vero quello che ci dice la scienza, cioè che il clima del Friuli Venezia Giulia in una decina di anni sarà come quello della Puglia, perché questo ci hanno detto, oppure facciamo finta che non succeda. Purtroppo, in questi anni abbiamo avuto a che fare con dei “terrapiattisti”. Persone che hanno negato i cambiamenti climatici, e la Giunta Fedriga in questo senso non ha assolutamente smentito le disposizioni dei Consiglieri di maggioranza che hanno caldeggiato delle misure insostenibili.
[l.f]