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lunedì, 17 Febbraio 2025

Elezioni, Fedriga ‘Sui grandi asset strategici deve esserci continuità nelle scelte’

30.03.2023 – 09.00 – Sono ormai dietro l’angolo le elezioni regionali in programma il 2 e 3 aprile, e la campagna elettorale per il futuro del Friuli Venezia Giulia è quasi giunta al termine: quattro le coalizioni a sostegno di altrettanti candidati in corsa per il governo della Regione nel prossimo quinquennio e la composizione del Consiglio regionale.
Dopo cinque anni al governo del Friuli Venezia Giulia, il presidente uscente Massimiliano Fedriga si ricandida per un altro quinquennio alla guida della regione, con la lista omonima, Fedriga presidente, insieme alla Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Autonomia Responsabile.

Dopo cinque anni non ha bisogno di presentazioni, è un bene o un male? 

“Penso sia un vantaggio essere già ‘testato’ dai cittadini perché in campagna elettorale posso presentare quello che è stato fatto in questi anni. Quindi sicuramente è un valore aggiunto rispetto al solo promettere ciò che si farà. Tante volte c’è una legittima disillusione verso la politica da parte dei cittadini; io oggi sto facendo una campagna senza promettere cose mirabolanti ma portando la testimonianza del lavoro fatto.”

Non sono stati cinque anni facili. Perché rifarlo?

“Per proporre una continuità nell’amministrazione, cosa che forse è mancata non solo nella nostra regione, ma anche a livello nazionale, si fanno politiche di breve periodo senza dare una programmazione di più ampio respiro. Per questo anche lo scopo e la volontà di ricandidarmi, portando a termine percorsi già iniziati e che non si concludono ovviamente in cinque anni. Almeno sui grandi asset strategici deve esserci una continuità nelle scelte, altrimenti ogni volta si riparte da zero.”

Il Friuli Venezia Giulia come nodo logistico in Europa. Con la crisi internazionale in corso come muterà questo ruolo? 

“Credo che la regione possa svolgere un ruolo importante nel collegamento con un’area dell’Europa fondamentale che è quella dei Balcani, della quale siamo porta d’ingresso e con cui abbiamo rapporti storico e culturali. Un’area geografica che può svolgere un ruolo importante anche in un nuovo assetto di catene produttive e industriali, in un nuovo contesto globale che non guarda più alle filiere lunghe così come le abbiamo conosciute fino ad ora, si sta andando incontro ad un accorciamento di quest’ultime. In questo contesto penso che i Balcani possano svolgere un ruolo da protagonisti e noi di conseguenza avendo rapporti, anche storici, con quest’area”.

E siamo pronti?

“Dal punto di vista logistico sicuramente sì, abbiamo uno degli asset logistici più forti a livello italiano, con un sistema di infrastrutture – dal trasporto marittimo a quello su ferro – che abbiamo rafforzato in questi cinque anni anche attraverso numerose collaborazioni, prima fra tutti l’Autorità di sistema portuale”.

Pensando invece allo spostamento di persone, l’immagine del Friuli Venezia Giulia non rimane però sempre un po’ quella di un territorio isolato e difficile da raggiungere? 

“Dobbiamo fare due riflessioni. La prima è che non siamo un aeroporto hub: ormai tutto il mondo funziona con collegamenti da aeroporti più piccoli verso aeroporti più grandi. Dobbiamo avere la consapevolezza che ci troviamo tra Venezia e Lubiana, sta nella logica delle cose che non saremo mai Fiumicino. Dall’altro lato però abbiamo cercato di rafforzare le tratte dirette con accordi importanti, penso a Ryanair o a Wizz Air, da qui a cinque anni ci sarà un aumento costante sia delle tratte nazionali che internazionali. La mia ipotesi, ed è un ottimismo concreto, è che nei prossimi cinque anni vedremo un raddoppio dei passeggeri dell’aeroporto di Trieste.”

Giovani, se ne parla molto in questa campagna elettorale. Bastano sconti sugli autobus e bonus famiglia per farli rimanere in Friuli Venezia Giulia?

“Io non credo serva scrivere la politica per i giovani, bisogna fare delle azioni per i giovani. Nel caso della mia amministrazione penso però anche a quanto fatto sulla parte formativa, i nostri ITS sono i primi a livello nazionale, con il grande raccordo che abbiamo messo tra istituzione regionale e il mondo dell’industria e dell’impresa, che rappresentano un’enorme opportunità occupazionale che parte proprio dalla formazione. Ricordo anche le risorse per la ricerca, un elemento di attrattiva per i giovani che vengono qui da tutte le parti d’Europa. Senza dimenticare la norma sull’attrazione dei talenti, per attrarre giovani professionisti tramite un sistema di welfare per chi decide di spendere la sua professionalità in Friuli Venezia Giulia. Quindi esiste una politica per i giovani? Esiste una politica per favorire la formazione, l’occupazione e di conseguenza l’attrattività della nostra regione per loro”.

Crede che la regione sia davvero così attrattiva per i giovani?

“Lo è grazie anche agli insediamenti internazionali che danno prospettiva ai giovani professionisti di poter avere uno sguardo che, sì, parte dal Friuli Venezia Giulia ma guarda al mondo. Non a caso la regione quest’anno, rispetto alla media dei dieci anni passati, ha visto triplicare l’attrazione degli investimenti internazionali, penso alle grandi realtà multinazionali, Novartis, BAT. Così si danno opportunità ai giovani, altrimenti si fa solo demagogia liquidando il tema attraverso uno slogan.”

La carenza di figure professionali è un problema che persiste. Basterà il sistema messo in piedi fino ad ora per coprire la sempre più crescente richiesta delle imprese? 

“Se sarà sufficiente la formazione? Il dramma credo sia soprattutto il calo demografico, un problema strutturale con cui si sta scontrando tutto l’Occidente. Abbiamo e avremo sempre più una carenza di professionisti e di mano d’opera perché mancano le persone: in regione c’è un tasso di disoccupazione che penso sia il più basso degli ultimi dieci anni. Da un lato questo è positivo perché significa che chi oggi vuole lavorare in Friuli Venezia Giulia può farlo, dall’altro lato però c’è una carenza molto importante che colpisce sopratutto il settore produttivo e la pubblica amministrazione”.

Un’immigrazione regolata in tal senso potrebbe essere una soluzione per far fronte a queste carenze? 

“Sono molto convinto che un’immigrazione scelta e controllata possa essere positiva, anche con accordi bilaterali con i paesi di origine, con cui si può fare ad esempio la formazione in loco. Purtroppo il sistema italiano in questi anni ha vissuto l’immigrazione e l’ha gestita in modo totalmente sbagliato, subendola. Un’immigrazione clandestina, che non era utile a chi veniva, né a chi si insediava, creando tensioni sociali, senza comprendere invece quali fossero i processi di cui avevamo bisogno.”

Porto vecchio, si era detto gli edifici della regione attorno al 2024.

“Penso che ci vorrà almeno un anno in più perché il passaggio di proprietà è stato un po’ rallentato da problemi oggettivi che ci sono stati. Però noi andiamo avanti, abbiamo stanziato le risorse e con la fine del 2022 gli edifici sono diventati effettivamente di proprietà della Regione, da lì abbiamo potuto attivare tutte le pratiche. Ci sarà poi tutta un’area indirizzata alla parte innovazione e formazione con protagonismo del privato dove il pubblico sarà solo nella gestione della struttura, da lì l’idea di attrarre le realtà private; oggi ci sono penso ormai un centinaio di manifestazioni di interesse.”

Tra i prossimi grandi eventi sicuramente c’è attesa per GO!2025. Non c’è però il rischio che rimanga ‘poco’ dopo l’evento? Come è stato un po’ per Esof, penalizzato in quel caso dalla pandemia.

“Penso invece che Esof abbia portato alla valorizzazione dell’area triestina, sta di fatto che ci sarà un importante evento che arriverà nel 2024 sempre legato al mondo della scienza, il Big Science Business Forum, che dopo Granada arriva a Trieste, in Friuli Venezia Giulia. Per quanto riguarda invece Gorizia, sicuramente la capitale europea della cultura non può essere un punto d’arrivo, deve essere un’occasione di partenza.”

Verso quale direzione?

“Dobbiamo dare una mission importante a Gorizia, che riguarderà in primo luogo la parte logistica: penso alla Sdag, o alla parte innovazione legata ad esempio all’industria aerospaziale e aeronautica. L’altro passaggio è che dobbiamo ridarle una vocazione di carattere commerciale, vocazione che ha sempre avuto in quanto viveva di un commercio di confine.”

In che modo la città potrebbe ritornare alla sua vocazione commerciale?

“Ad esempio lavorando sul Made in Italy. Pensiamo ai grandi outlet, i brand italiani attirano tutto un turismo, in particolare dall’est Europa, che spende e dorme negli hotel di lusso, che vengono costruiti appositamente nelle vicinanze. Un’ipotesi che lancio è fare invece un outlet in una città vera, in Italia normalmente vengono costruiti in città finte, noi lo potremmo fare all’interno di un centro storico straordinario, in una zona di confine e quindi di passaggio. Sarebbe un’esperienza incredibile per Gorizia, sarebbe attrattiva e avrebbe la capacità di rilanciare da questo punto di vista anche la parte turistica e ricettiva, legata ad un commercio di alta gamma italiano.”

Crisi ma anche transizione energetica, la valle dell’idrogeno che ruolo giocherà?

“Il futuro dell’approvvigionamento energetico si deve basare sulla diversificazione. Abbiamo visto con le tensioni internazionali che dipendere completamente da un’unica fonte è rischioso e può condizionare in modo drammatico il mondo produttivo e non solo. L’idrogeno può sicuramente rappresentare uno degli asset più importanti per andare verso la transizione energetica. L’Hydrogen Valley è un ecosistema che deve sviluppare più asset, dalle infrastrutture, fino alla parte industriale e civile – ho visto progetti straordinari di case che si alimentano a idrogeno, ma penso anche ai trasporti. C’è poi la parte di ricerca, che mette insieme il know-how di tre territori, FVG, Slovenia e Croazia per migliorare la tecnologia e renderla il più accessibile possibile. Dobbiamo sempre ricordare che nella transizione energetica la parte fondamentale è sì quella ambientale, ma deve esserci anche sostenibilità sociale ed economica.”

Ha più volte affermato di essere il primo ad ammettere i propri errori, quale è stato il peggiore di questi cinque anni? 

“Direi l’impossibilità di attuare la riforma sanitaria. Non ci siamo riusciti perché c’è stata la pandemia, infatti non so se si può definirlo un errore, tutto il mondo si è bloccato per rispondere all’emergenza. Però sicuramente il sistema sanitario, specialmente a livello italiano, ha bisogno di un buon sistema organizzativo, e infatti è stato aperto un tavolo con il ministero della Salute. Ciò che manca è sopratutto la parte delle cure intermedie, che evitano l’ospedalizzazione impropria. L’avevamo previsto nella riforma di dicembre 2019, che però la pandemia non ci ha permesso di attuare, anticipando il PNRR dove questa parte si è tradotta negli ospedali di comunità. E questa penso sia una grande sfida per la sanità che tutte le regioni, e lo dico anche da presidente della Conferenza, dovranno affrontare da qui ai prossimi anni.”

[n.p]

 

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