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sabato, 19 Aprile 2025

Un mondo di bugie. In Italia solo il 39 per cento dei cittadini si fida dei giornali?

14.11.2022 – 10.00 – In Italia solo il 39 per cento dei cittadini si fida dei giornali? Uno studio del Reuters Institute, iniziato nel 2017 e poi sviluppato negli anni successivi e fino a oggi da molti altri ricercatori in più istituti internazionali nonché da organizzazioni che hanno dedicato il loro lavoro al monitoraggio del giornalismo e della libertà di stampa, evidenzia come i lettori che utilizzano primariamente Internet per informarsi non siano in realtà pienamente capaci di differenziare fra notizie false, notizie autentiche e contenuti creati ad arte per ingannare o indurre chi naviga il web a rivolgersi verso l’uno o l’altro soggetto. In Italia, il rapporto AGI-Censis del 2019 indicava in poco più della metà degli intervistati quelli che si fidavano dei giornali; un dato che, con la pandemia e oggi con la guerra in Europa, è di recente ulteriormente peggiorato, scendendo sotto il 40 per cento, con quasi un terzo delle persone che si fiderebbero più di quello che sentono dagli amici che dei quotidiani: un dato drammatico, passato però quasi in silenzio fino a quando a renderlo protagonista non sono stati gli episodi come il blocco del porto di Trieste, le manifestazioni contro i vaccini e le aggressioni, per fortuna senza episodi drammatici, ai giornalisti stessi.

La base dello studio Reuters è un’analisi quantitativa fatta su 70mila volontari distribuiti su oltre trenta segmenti di mercato. Il livello di fiducia riposto nei media, quotidiani e periodici, letti attraverso Internet è molto basso; la fiducia nei confronti delle informazioni che provengono dai Social media è ancora più basso, e molti dei volontari che hanno accettato di rispondere fanno pochissima distinzione fra le false informazioni e il giornalismo di bassa qualità identificato con immagini manipolate in modo da disinformare, materiale autentico ma utilizzato in un contesto sbagliato o volutamente diverso da quello originario, contenuti distribuiti attraverso siti web specializzati nelle notizie false ma con un aspetto simile a quello di veri siti media. Il giornalismo – inteso come professione – di bassa qualità, secondo i lettori del web, è la ragione per cui la fiducia nei giornali è crollata e lo scetticismo nei confronti di quello che i media pubblicano sta raggiungendo livelli senza precedenti nella storia. È un’opinione diffusa, della quale è facile rendersi conto semplicemente chiedendo un commento sugli articoli della stampa agli amici al bar, e sta diventando un concetto rilevante in diverse discipline universitarie, essendo gli aspetti legati alla fiducia nelle informazioni fondamentali per tutte le attività umane che richiedano interazione fra diversi soggetti, sia a livello interpersonale che nei meccanismi secondo i quali le società, l’economia e la politica funzionano. Il giornalismo economico è stato in fin dei conti il primo a nascere e tuttora rappresenta una delle specializzazioni più delicate e difficili nella professione; e un giornalismo economico che si basi su informazioni delle quali non si ha fiducia è impensabile. La fiducia è un elemento strettamente legato al benessere psicologico, indispensabile per il mantenimento di una buona relazione con il mondo che ci circonda: la mancanza di fiducia ci fa vivere male. Il trovarsi a continuare a pensare che in fondo tutto ciò che stiamo leggendo o sentendo sia falso o in qualche modo alterato è una delle peggiori condizioni in cui si possa vivere e lavorare, al punto da portare a un rifiuto degli altri. La fiducia, inoltre, già dalla nascita degli Stati moderni, è un elemento fondante della cittadinanza: il cittadino non può doversi trovare in una condizione nella quale non ha mai fiducia nello Stato, pena il crollo della coesione sociale e dell’ordine, e lo Stato non può risolvere una situazione nella quale la maggioranza dei suoi cittadini lo ignora non ritenendolo autorevole o degno di fiducia in quanto le informazioni che fornisce non sono attendibili – e nel ruolo di mediazione e di contatto fra cittadino e Stato, il giornalismo è sempre stato connotante.

I più giovani (fra i 15 e i 24 anni) tendono ad avere maggior fiducia nelle informazioni che trovano online e stando agli studi fatti mostrano, come nativi digitali, una maggior capacità di utilizzare strumenti di verifica che consentono loro di distinguere un’informazione autorevole da una falsa. La generazione precedente, quella dei loro padri che si ferma per gli scopi statistici ai 55 anni, fa ancora riferimento a un numero diversificato di fonti d’informazione (radio e televisione oltre a Internet, e in diversi casi ancora carta stampata, tuttora da loro ritenuta la più autorevole). Dopo i 55 anni si potrebbe pensare che il riferimento sia ancora quello alla televisione, poi però si scopre che ci sono anche i Social network, e che anzi sugli Over 55 Facebook ha una forte influenza. Da dove nasce la mancanza di fiducia nelle notizie, quali sono le ragioni? Non c’è una risposta chiara che possa aiutare a isolare le cause di questo crollo di credibilità del giornalismo e della comunicazione che porta alla mancanza di fiducia nelle notizie. Se guardiamo all’Italia – non è però certamente un problema solo italiano – uno dei fattori è che certamente il giornalista, in particolare in questi ultimi dieci anni nei quali lo Smartphone ha iniziato ad accompagnarci sempre, ci ha messo forse del suo: l’85 per cento degli intervistati lo considera infatti come primo responsabile della situazione, moltissime volte lo identifica come propugnatore di Fake news, spesso rivestendolo anche del supposto ruolo di finto professionista al soldo di chi paga e gli detta l’agenda giornaliera di cosa scrivere. Anche, secondo i più critici, al soldo dello Stato anziché essere quello che lo Stato lo sorveglia. Per chi il giornalista lo fa per davvero non c’è di che stare allegri; se come giornalisti ci abbiamo messo del nostro, lo abbiamo fatto spesso accettando di seguire le indicazioni del mercato, tornando così al giornalismo dell’Ottocento che nasceva dalla volontà del ‘padrone delle ferriere’ di farsi pubblicità. O della politica che si trasforma, essendo una chiara fonte di sostentamento economico, in una sorta di nuovo ‘padrone delle ferriere’ nel momento in cui il finanziamento pubblico alle testate giornalistiche – che garantiva, pur con i suoi molto problemi, un certo equilibrio aiutando a mantenere un po’ di distanza dal denaro dato in modo diretto – è stato rimosso. Un altro fattore è la concentrazione del potere editoriale italiano in poche mani: siano esse cinque o sette, la riduzione del numero degli editori e il loro essersi trasformati in veri e propri ‘trust della notizia’ ha abbassato la libertà di stampa e tolto indipendenza ai giornalisti stessi. Internet inoltre, pur essendo un meraviglioso veicolo di notizie e quindi un fattore di libertà per persone o interi popoli che altrimenti non avrebbero potuto avere alcuna voce nei mutamenti della geopolitica, ha ridotto la qualità dell’informazione almeno in due maniere: consentendo, nel primo periodo e sotto la spinta della novità e della necessità degli editori di trovare braccia alle quali affidare il racconto scritto, a un gran numero di persone che non uscivano dalle scuole tradizionali di giornalismo di potersi affacciare a questo mondo a volte senza preparazione adeguata (vantaggi e svantaggi: se il giornalismo prima era elitario e forse lo era anche troppo, successivamente è diventato di massa, e forse troppo). E in secondo luogo diventando l’amplificatore e l’altoparlante, soprattutto dopo la comparsa dei Social network che hanno rotto qualsiasi regola e sovvertito le strutture organizzate d’informazione, di fonti non verificate o, purtroppo, il più delle volte speciose o artefatte – quindi notizie false per davvero o vera e propria disinformazione. Il fattore finale di disorientamento è arrivato ancora una volta dalla politica, nel momento in cui questa ha pensato di poter fare a meno delle tradizionali strutture di supporto rappresentate dalle scuole di comunicazione di partito e dagli uffici stampa per tentare la strada dell’artigianato comunicativo sui Social. Certamente il mondo Social funziona come catalizzatore d’attenzione, estremamente potente ed efficace nel momento in cui emerge l’uno o l’altro personaggio carismatico, ma fallisce nella coerenza e nella strutturazione di programmi e comunicazione verso le basi elettorali e soprattutto la platea generale dei cittadini. Non è più il partito, a fare informazione, ma il personaggio, che a volte prima dice una cosa e poi un’altra ma Internet è impietoso e registra tutto: con tutto ciò che ne consegue, inclusi i 44 giorni di Liz Truss nel Regno Unito, mandato di brevità impensabile per una nazione che è sempre stata protagonista della storia e che ha lasciato senza parole i cittadini britannici stessi, corsi a cercar conforto in una rappresentazione tutta italiana della Truss con spaghetti, pizza e quasi mandolino a dirsi: ‘non possiamo di certo esser come gli italiani’ (stavolta hanno fatto molto peggio di noi, ma tant’è).

Il cittadino informato di un tempo si è trasformato in un cittadino, quello dell’era digitale, bombardato da informazioni iper-disseminate, non più in grado di distinguere e quindi più che disinformato, disilluso. Se tutti scrivono di tutto, manca la selettività; se manca in generale e in modo piuttosto evidente l’accuratezza, si perdono i punti di riferimento. Aumenta quindi la tensione causata dallo scontro fra la necessità di avere fiducia, che ciascuno di noi ha dentro di sé, e il grande scetticismo verso quello che viene largamente considerato un mondo della comunicazione fatto solo di notizie false. L’elenco lunghissimo di testate giornalistiche che hanno deciso di mettere a pagamento la maggior parte delle informazioni che pubblicano diventa una pressione ancora più forte e, se si può, peggiora il quadro generale: una delle caratteristiche della libertà di stampa è appunto quella di dover essere libera, senza soldino che cade nella cassetta. È una tesi che si contrappone a quella di chi dice che il pubblico sia più che disposto a pagare per avere un giornalismo di qualità: di fronte a questo, la risposta non può essere infatti che un ‘dipende’, posizionato nel punto giusto fra la necessità di cronaca e quella di informare, e la volontà di fare analisi e opinione. Un punto ancora tutto da trovare in quel percorso verso il ritorno al giornalista che è fonte autorevole d’informazione e differenzia il suo lavoro da quello di chi semplicemente pubblica un post su Facebook o un tweet, ruolo che oggi non ricopre più. Gli elementi che contraddistinguono una notizia nella quale si può riporre fiducia sono per chi legge la sua fattualità, l’imparzialità di chi scrive, la capacità di selezionare le informazioni, la credibilità del media sulla quale viene pubblicata e l’esperienza ovvero da quanto tempo quella fonte d’informazione esiste. Sono tutte cose che risentono oggi dalla produzione in massa di notizie non facilmente verificabili, ritenute potenzialmente fuorvianti, inaccurate, manipolatrici. La speranza c’è, perché le tendenze mostrano un recupero della fiducia nelle notizie che si trovano sul web soprattutto da parte delle persone con educazione medio-alta che hanno ora imparato a verificare le informazioni incrociandole e a valutare l’informazione in modo meno immediato, meno virale: le Fake news ci sono senz’altro, quindi, ma fermarsi a contare fino a tre prima di ritener vero qualcosa che si è visto passare a volo radente su Facebook aiuta a distinguere la realtà dalla fantasia e dalla propaganda – affiancandoci anche una fonte d’informazione che si ritiene accreditata con giornalisti di professione, magari anche a pagamento se ritenuta una spesa adeguata, ma non solo.

[r.s.]

Roberto Srelz
Roberto Srelzhttp://www.centoparole.it
Giornalista pubblicista. Direttore responsabile Trieste All News.

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