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sabato, 19 Aprile 2025

Diritto 4.0: parole dissacranti durante la messa

18.07.2022 – 10.48 – Un signore della periferia romana ha escogitato un modo per sbarcare il lunario: irrompere in chiesa durante la messa ed iniziare a urlare, disturbando la funzione religiosa fino a quando ottiene una elargizione sufficiente a farlo smettere. La strategia spregiudicata finisce sul tavolo del magistrato e frutta all’urlatore una condanna per estorsione. L’imputato si difende davanti alla Corte di Cassazione contestando la condanna: lui, disturbando la celebrazione delle messe con urla “anche utilizzando un linguaggio blasfemo” non avrebbe commesso il reato di estorsione, bensì di molestia. Cioè, non avrebbe cercato di estorcere denaro, ma solo di dare fastidio.
Commette un reato di estorsione chiunque, con violenza o minacce, costringe qualcuno a fare (o gli impedisce di fare) qualcosa, ottenendo un profitto in danno della vittima. Invece, commette un reato di molestie chiunque per un motivo biasimevole, in un luogo pubblico o per telefono, disturba la vittima. La differenza non è di poco conto perché l’estorsione è punita “con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000”, mentre la molestia è punita “con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.

I fatti sono abbastanza chiari: l’imputato era solito disturbare ripetutamente la celebrazione delle funzioni sacre con schiamazzi ed urla e minacciando il sacerdote di non cessare l’azione di disturbo prima del pagamento di un certo importo di denaro. La difesa cerca di sminuire la responsabilità del reo affermando che non si tratterebbe di estorsione, poiché non ci sarebbe stata alcuna minaccia e, pertanto, nessuna “coartazione” della volontà del parroco a fini estorsivi. Dunque, si sarebbe trattata di una semplice molestia.
giudici non si lasciano convincere e osservano che, di fatto, al ministro di culto era stato impedito di svolgere le sue funzioni, obbligandolo a versare un corrispettivo per ottenere la cessazione delle grida blasfeme. A tale conclusione convergono tutti gli elementi esaminati: la personalità dell’urlatore, le circostanze ambientali in cui lo stesso operava, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni della vittima. I fatti, pertanto, non possono essere qualificati diversamente e la condanna per estorsione viene confermata. (Cassazione, sentenza n. 11949/21)

[g.c.a.]

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