09.07.2022 – 08.30 – La mente umana è naturalmente portata a cercare una causa agli eventi che incontra; e ancor più a ricercare un colpevole, quando gli eventi coinvolgono gli esseri umani. Naturale reazione pertanto il dibattito trasversale ai Social e ai giornali sul massacro avvenuto sulla cima della Marmolada, col rincorrersi di opinionisti e montanari.
Sulla questione è intervenuto anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste quale membro essenziale del Gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada. Non presunte esperienze di vita vissuta, né speculazioni televisive: ma semplici fatti scientifici da chi i ghiacciai li studia da vent’anni. Specificatamente nel caso giuliano sono intervenuti i geologi Massimo Giorgi e Stefano Picotti.
Partendo dal dato di fatto che il ghiacciaio della Marmolada è il più grande delle Dolomiti, i ricercatori hanno ribadito che la superficie interessata si è ridotta di più del 70% in superficie e di oltre il 90% in volume e, ad oggi, esso è grande circa un decimo rispetto a cento anni fa. Sono ormai un lontano ricordo i “grandi castelli di ghiaccio” che affascinavano gli alpinisti e i turisti vittoriani. Proprio per le sue ingenti dimensioni il ghiacciaio della Marmolada è un formidabile termometro dei cambiamenti climatici, capace di reagire velocemente all’innalzarsi delle temperature.
Nella fatale giornata il crollo ha interessato un lembo residuale del ghiacciaio centrale che occupa una piccola nicchia a ridosso della cresta sommitale sotto Punta Rocca formando un “ghiacciaio sospeso”.
Secondo i geologi il crollo si è verificato per una serie di condizioni il cui relativo peso ad oggi “non è di facile determinazione”.
Vi sono pertanto molteplici cause. Si parte dall’osservare che la zona in questione presentava un pendio roccioso con forte inclinazione e diverse discontinuità al fondo e sui lati. Si era inoltre aperto un grande crepaccio che ha separato il ghiacciaio in due parti.
In questa situazione iniziale rientra poi l’azione climatica, ovvero le alte temperature: all’interno del ghiacciaio, a causa dell’aumento della fusione, vi era una forte circolazione d’acqua la quale può aver innescato una crescita dello stress sulle superfici di discontinuità presenti. Infine occorre considerare la fusione progressiva della fronte glaciale che ha fatto mancare il sostegno alla massa sospesa.
Il Gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada è inoltre concorde nell’osservare che “Prima del crollo non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente“. Da scartare pertanto quanto definiscono la “Prevedibilità del fenomeno“.
Anzi, osservano i geologi, “Il distacco di seracchi è un fenomeno frequente nei ghiacciai e fa parte della normale dinamica glaciale”; sebbene “il caso di collassi in blocco come quello verificatosi in Marmolada” sia “molto più raro”.
Sotto il profilo de cambiamenti climatici il ritmo di riduzione del ghiacciaio porterà, transizione energetica o meno, alla sua scomparsa: secondo le attuali stime dovrebbe scomparire prima del 2040; se rallenterà il processo di riduzione del ghiaccio potrebbe al più conservarsi sino, ma non oltre al 2060.
[z.s.]