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martedì, 1 Luglio 2025

Economia, Milan Vranic: “Balcani occidentali pronti a giocare nello scenario internazionale (e con l’Italia)”

02.04.2022 – 14.00 – I Balcani: area nel cuore dell’Europa, vicina all’Italia e soprattutto a Trieste, per tradizione e per importanza strategica. Non è un caso che proprio nel capoluogo, nel 2017, nell’ambito del Western Balkans Summit, è stata costituita l’Associazione delle Camere di Commercio dei Balcani occidentali (WB6 CIF), operativa nella sede di Trieste della Camera di Commercio Venezia Giulia. Un’iniziativa congiunta delle Camere di commercio e industria dei Balcani occidentali nazionali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia): una piattaforma di cooperazione per garantire un’unica voce alla comunità imprenditoriale dell’area, atta a stabilire una vasta rete commerciale regionale, promuovendo il territorio come destinazione di investimento, avvicinando l’economia del luogo agli standard dell’Unione europea. Ne parliamo con Milan Vranic responsabile procuratore per WB6 CIF, nonché direttore della Camera di Commercio e Industria della Serbia in Italia.

Con quale spirito è nata l’iniziativa?

“È stata la risposta del tessuto imprenditoriale rispetto ai processi politici del territorio, per incentivare e agevolare l’adesione dei Balcani occidentali all’Unione europea. La fusione delle sei camere in un’associazione congiunta – rappresentando oggi circa mezzo milione di aziende, per lo più PMI – apre infatti a nuove opportunità per rafforzare il collegamento in rete delle comunità d’impresa dell’area, verso la cooperazione economica regionale e un migliore clima imprenditoriale e di investimento. L’obiettivo è quindi quello di ‘sprigionare’ un nuovo potenziale in termini di crescita economica, migliorando la connettività tra persone e imprese, tra Balcani occidentali e Ue, rimuovendo ad esempio gli ostacoli alla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, al fine di ridurre i costi e rendere i nostri beni e servizi più competitivi nel mercato globale, promuovendo attivamente questa regione come destinazione di investimento unica. Si tratta di un’opportunità per tutti, anche e soprattutto per l’Italia”.

Di che mercato si parla in termini numerici?

“Con una popolazione di quasi 18 milioni di persone l’economia di quest’area nel 2020 ha generato 98,5 miliardi di euro. Anche le prospettive di crescita sono ottime: si pensi che dal 2014 al 2020 il PIL regionale totale è cresciuto del 28% con un tasso di crescita annuale del 4,2%; mentre il PIL pro capite nel 2020 è aumentato del 30,8% rispetto al 2014, pari a 5.583 euro. La crescita media annua di questo indicatore inoltre è stata del 4,6% nel quinquennio, un dato superiore alla crescita media del PIL, del 4,2%. I Balcani occidentali sono quindi una delle aree in più rapida crescita nel panorama europeo, con tassi previsti tra il 3 e il 4%. Inoltre, ulteriore elemento da tenere in considerazione è la stabilità macroeconomica dell’area, con una bassa inflazione (1-2%), un basso deficit di bilancio (da -3% a -2%) e un debito pubblico stabile (circa 50%)”.

E dal punto di vista degli investimenti esteri? 

“L’afflusso totale di IDE (investimento diretto estero) nell’area è stato di 35miliardi di euro, con picchi nel biennio 2018/19 con 6,3 miliardi rispettivamente per ciascun anno. Guardando all’ultimo periodo, nel 2020 i flussi di investimento sono stati pari a 5,4 miliardi di euro, con un aumento del 53,4% rispetto al 2014. Nel dettaglio i servizi, che in generale costituiscono la maggior parte del valore aggiunto regionale, coprono il 59% degli investimenti, a seguire l’industria con il 40% e infine, seppure in minor misura l’agricoltura. Questo ovviamente genera ricadute molto positive in termini occupazionali, con ben 6,7 milioni di dipendenti registrati nel 2020 (il 21,3% in più rispetto al 2014), un tasso di disoccupazione ai minimi storici (13,1%) e una retribuzione lorda media di circa 650 euro (rispetto ai 505 euro del 2014)”.

Un’ economia comune quindi ma con diverse peculiarità. Quali?

“Ci sono differenze significative all’interno della struttura nel suo complesso e delle sei economie. Ad esempio in Montenegro, trainato dal turismo, è preponderante il settore dei servizi, che si avvicina al 70%; dall’altra parte, con un GVA (valore aggiunto lordo) intorno al 30%, Serbia e Bosnia ed Erzegovina rappresentano i centri industriali della regione, mentre il valore aggiunto dell’agricoltura albanese è quasi il doppio della media regionale”.

Un mercato unico dei Balcani occidentali è quindi possibile?

“Di fatto, tutte le aziende della regione beneficiano della creazione di un mercato comune di oltre 18 milioni di persone. In questo modo si possono attrarre più investimenti, agire insieme nei mercati terzi, ridurre i costi per le imprese e renderle più competitive nell’esportazione, in particolare verso il mercato dell’Unione europea. I numeri parlano chiaro: tra gli indicatori positivi le esportazioni sono aumentate del 142% negli ultimi dieci anni e l’Unione Europea è la prima della lista; situazione analoga è quella dell’afflusso di investimenti diretti esteri, che hanno una tendenza al rialzo, e la maggior parte provengono sempre dall’Ue. Direi che ci stiamo decisamente muovendo verso un mercato unico e un insieme economico connesso: quello dei Balcani occidentali”.

È utopico parlare di economia per il superamento dei conflitti?

“L’economia è essenziale. Non solo per le imprese, ma anche per i cittadini, ecco dunque che il compito della politica diventa fare ciò che fa bene all’economia di un paese. A volte le decisioni vengono prese all’interno di politiche diverse, che economicamente non sono del tutto razionali, appunto perché in quei casi ci sono altri interessi a cui la politica mira, ma fortunatamente questa è l’eccezione e non la regola.
Ciò che invece è incoraggiante è che nell’area dei Balcani occidentali vi sia un consenso unanime per lasciarsi alle spalle il passato e guardare al futuro: siamo impegnati nella cooperazione, tesi verso la creazione di sinergie tramite cui progredire tutti più velocemente. Possiamo dire che l’economia ci unisce molto più di quanto ci potrebbe dividere: la creazione di un mercato comune per quest’area era quasi impossibile da immaginare, oggi invece siamo sul punto di formarlo completamente e questo chiaramente suscita molto ottimismo”.

Il concetto di “economia regionale” richiama anche quello del “Sistema Nord Est“, l’iniziativa che vede la sinergia di Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige sul fronte dell’internazionalizzazione. È coinvolta anche la Camera di Commercio e Industria della Serbia in Italia di cui lei è direttore.

“Abbiamo lavorato insieme alla creazione di un’idea e di una metodologia, nonché alla definizione di nuovi standard nel processo di internazionalizzazione: le aziende infatti hanno bisogno di un ruolo di maggior rilevanza e coinvolgimento nel processo di espansione verso nuovi mercati. L’idea è stata riconosciuta, il che è molto importante, ma c’è ancora molto da fare. Non solo così si favorisce l’economia ma si supportano anche le aziende nel gestire al meglio le proprie attività, in un mondo che segue nuovi ritmi legati a quella che è l’economia reale. Ciò che serve ora è fare di più, da entrambe le parti, pubblico e privato. Chiaramente siamo appena all’inizio, ma il momento è quello giusto”.

Restando in tema di internazionalizzazione qual è il peso dell’Italia per la Serbia?

“In termini di volume del commercio estero l’Italia è uno dei più importanti partner commerciali della Serbia, al primo posto dal 2013 al 2105 e successivamente seconda solo alla Germania. Nel 2021, inoltre, l’Italia era al terzo posto per valore degli scambi, dopo Germania e Cina. Come mercato di esportazione invece il paese è stato il primo partner della Serbia dal 2013 al 2018. Nel dettaglio, la quota di commercio estero della Serbia con l’Italia nello scambio complessivo della Serbia con l’Unione Europea va dal 17% nel 2012 al 27% nel 2021; con la quota maggiore raggiunta nel 2018 e pari al 28%. La Serbia storicamente ha esportato soprattutto automobili e prodotti correlati, come gli pneumatici; si pensi ad esempio alla Fca Serbia o alla Tigar Tyres, tra i maggiori esportatori. A livello territoriale le maggiori esportazioni riguardano il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Toscana”.

E il Friuli Venezia Giulia?

“Nel 2021 sul totale delle esportazioni della Serbia verso l’Italia il valore del collocamento di merci dalla Serbia in Friuli Venezia Giulia è stato di circa il 2% (come nel 2020 e nel 2019). In termini di prodotti esportati le aziende che vendono merci in questa regione si trovano principalmente nel campo delle apparecchiature di refrigerazione e ventilazione, altri mobili, taglio e lavorazione del legno e dei metalli.
Inoltre, stando agli ultimi dati dell’Agenzia del Registro delle Imprese, in Serbia operano circa 1.173 società a capitale maggioritario italiano e, se guardiamo tra quelle in cui il titolare è una persona giuridica proveniente dal Friuli Venezia Giulia, notiamo che le attività preponderanti sono quelle di supporto alle imprese, lavorazioni meccaniche e sviluppo di progetti edili”.

Con i nuovi voli Trieste-Belgrado l’Italia sta diventando il mercato con il maggior numero di destinazioni servite dalla capitale serba. Cosa ne pensa?

“La decisione di introdurre nuove destinazioni in Italia – insieme a quelle di Roma, Milano, Bologna, Venezia – ha un’importanza strategica, di rinnovamento e di rafforzamento. Abbiamo insistito a lungo su questo proprio perché la cooperazione economica con la Penisola è una delle priorità per il paese, e i collegamenti contribuiscono allo sviluppo di relazioni culturali ed economiche, agevolando e velocizzando la comunicazione. Inoltre, il collegamento con Trieste è significativo considerando che la città è tra quelle in cui vi è la più grande diaspora serba in Italia”.

L’eredità di questa diaspora oggi a Trieste è la cosiddetta seconda generazione di serbi: che ruolo ricoprono rispetto al futuro questi giovani?

“Trieste è un gioiello non solo dell’Italia ma anche dell’Europa; spesso però quando si ha qualcosa di così prezioso e bello il rischio è quello di metterlo via per conservarlo anziché farci qualcosa di ancora più grande e prezioso. Allo stesso modo penso che anche la seconda generazione di giovani serbi faccia parte di quel tesoro che dovrebbe essere utilizzato meglio, a beneficio tanto della città quanto della stessa Serbia. Ma, forse, oggi a Trieste prima di tutto varrebbe la pena domandarsi: dove si vuole arrivare?”

  [n.p]

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