26.03.2022 – 07:10 – Dopo che la Nato ha fatto sapere chiaramente che sarebbe intervenuta nel caso in cui la Russia fosse ricorsa all’uso di armi chimiche o nucleari sul territorio ucraino, dal Cremlino avvertono che non c’è l’intenzione di servirsene. Quanto sia opportuno credere alle dichiarazioni di un governo che nelle ultime settimane non ha fatto altro che mentire, lo dirà il tempo. Chissà se ci credono i soldati impegnati sul campo, cui è stato impartito l’ordine di concludere ogni azione di guerra entro il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la giornata della vittoria. Non è un caso. La narrazione sulla “denazificazione” dell’Ucraina è un richiamo strategico al più importante successo militare nella storia recente dell’(ex) Unione Sovietica, quello nella Seconda Guerra Mondiale. Il trionfo sulla Germania nazionalsocialista da allora costituisce un valore identitario e fondativo per il popolo russo, una corda di riscatto e unità che il Cremlino solletica continuamente. Nonostante le difficoltà sul campo, la lentezza dei rifornimenti e le controffensive della resistenza, Putin chiede che entro maggio il Donbass e Luhans’k siano sotto il controllo di Mosca.
Nel nostro Paese ha parlato il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale, intervistato da Rainews24, pronostica un’ottimistica perdita del 15% sull’export italiano verso la Russia, che ammonta a circa 7 miliardi di euro, a spanne lo 0,5% del Pil. “Purtroppo sull’economia italiana ed europea si sta abbattendo il costo della guerra di Putin, non il costo delle sanzioni” ha detto Di Maio “Le sanzioni servono a togliere linfa all’esercito di Putin. Stiamo lavorando al quinto pacchetto di sanzioni, c’è una discussione in corso: il tema dell’oil and gas vede alcuni paesi più sensibili, ma da parte dell’Italia abbiamo sempre detto che aspettiamo la proposta della Commissione Ue e crediamo che non ci debbano essere veti, perché le sanzioni sono l’unico strumento pacifico abbiamo per fermare questa guerra colpendo l’esercito russo”. Giova ricordare che circa il 40% delle importazioni di gas italiane, su un totale di 70-90 miliardi di metri cubi annui, provengono dalla Russia. La sfida del governo è trovare una rapida soluzione che consenta di sostituire il gas russo entro il prossimo autunno. Tra le possibili strade da percorrere, oltre allo sfruttamento a pieno regime dei gasdotti provenienti da altri paesi e al loro potenziamento, c’è il ricorso al gas liquefatto GNL (che necessita tuttavia di rigassificatori) e la riapertura delle centrali a carbone. Sono state significative a tal senso le parole del premier Draghi, intervenuto a Bruxelles a termine dei lavori UE. Il Presidente del Consiglio ha annunciato che 15 miliardi di metri cubi di gas saranno importati dagli Usa e che Snam acquisterà due rigassificatori. Draghi ha poi anticipato la possibilità che a maggio la Commissione Europea avanzi una proposta per lo spacchettamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica.