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sabato, 19 Aprile 2025

Diritto 4.0: il silenzio del detenuto

20.03.2022 – 11.30 – Oggi ragioniamo sul silenzio. Perché i silenzi non sono mica tutti uguali e vanno tenuti distinti. Se qualcuno non parla, potrebbe farlo per varie ragioni. Ad esempio, potrebbe tacere perché è in una situazione di imbarazzo. O perché non conosce la risposta. O perché non ha nulla da dire. Certo, è ben difficile interpretare correttamente le ragioni di un silenzio, ma a volte è necessario. Soprattutto se ti trovi davanti un mafioso. Col suo silenzio, cosa avrà voluto dire?
La questione diventa rilevante per la concessione dei permessi premio ai criminali che sono in prigione. Infatti, i criminali condannati per reati connessi alla criminalità organizzata, potrebbero collaborare con la giustizia o rimanere muti. E se rimangono muti, come interpretare il loro silenzio? Mi spiego meglio: se un mafioso tace, lo fa per omertà o per timore? Tace per proteggere gli altri affiliati della sua cosca, o per proteggere i suoi familiari? Non collabora per garantire l’impunità alla sua banda o perché teme rappresaglie da parte di quest’ultima contro i suoi cari? O tace per altri motivi?

Distinguere le ragioni della mancata collaborazione con la giustizia è importante perché c’è silenzio e silenzio. Il silenzio di chi sceglie di non collaborare è differente da quello di chi è obbligato a non collaborare. Se non collabori perché ti senti parte della criminalità organizzata, non ti sei pentito e rimani un soggetto pericoloso. Invece, se non collabori perché non puoi farlo, forse il pericolo non sei tu e la tua condotta potrebbe venire valutata con clemenza. La questione relativa alla valutazione del silenzio è stata recentemente sollevata da un detenuto che vorrebbe la concessione del beneficio di un permesso premio per poter incontrare i due figli minori residenti con la madre in Germania. Egli sta espiando una pena di oltre 14 anni di reclusione per reati di associazione di tipo mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, usura ed estorsione. Ma la legge parla chiaro: ai colpevoli di «reati di criminalità organizzata», i permessi premio possono venire concessi solo se collaborano con la giustizia.

La situazione, però, non è così semplice: cosa fare se il condannato non è in grado di collaborare? Ad esempio, perché la sentenza di condanna ha già ricostruito appieno i fatti e non serve aggiungere altro: la collaborazione, pertanto, è superflua. Oppure, perché il condannato è “un pesce piccolo” e non è in grado di collaborare perché non sa nulla di utile. Che fare in questi casi? Per comprendere meglio la questione, è necessario distinguere tra “la posizione di chi può collaborare ma soggettivamente non vuole (silente per sua scelta)” e quella “di chi vuole collaborare ma oggettivamente non può (silente suo malgrado)”. Infatti, per il “silente suo malgrado” è prevista la possibilità di concessione dei permessi premio. E chi sono costoro? I “silenti loro malgrado” sono i criminali inesigibili e quelli impossibili. È inesigibile il criminale che ha partecipato al crimine con un ruolo marginale, al punto tale che non è a conoscenza di fatti rilevanti da poter raccontare. È impossibile la collaborazione del criminale di cui è già stato scoperto tutto: se i magistrati già conoscono ogni dettaglio, così altro potrebbe rivelare il reo? Ecco due ipotesi di condannati che, anche se volessero, non potrebbero collaborare. Sono destinati a tacere anche se volendo collaborare e… possono godere dei permessi premio.

In generale, la mancata collaborazione presuppone “la persistenza di una pericolosità ostativa alla concessione del beneficio” richiesto; cioè, si dà per scontato che chi non collabora sia pericoloso e, pertanto, non gli possono essere riconosciuti i permessi premio. Nel caso dei criminali inesigibili o impossibili, i permessi premio possono invece essere concessi anche senza collaborazione con la giustizia, purché ci siano elementi che facciano escludere sia l’esistenza attuale di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo che tali collegamenti vengano ripristinati. (Corte Cost. sent. n. 20/2022)

[g.c.a]

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