16.03.2022 – 07.30 – Aumentano i prezzi della pasta e dell’olio di semi di girasole sugli scaffali dei supermercati. Da ieri, la corsa impazzita delle persone all’accumulo di beni di prima necessità ha visto gli addetti alle vendite obbligati a calmierare l’acquisto da parte dei clienti. Secondo Stefano Uccella, presidente Pastai Cna Nazionale, i rincari sono causati dai costi di produzione e dalla materia prima che inizia a scarseggiare. Essendo l’Ucraina uno dei paese principali nell’esportazione di grano tenero, grano duro e mais all’Europa, in particolar modo all’Italia, la crisi si avverte immediatamente a causa della guerra. Allo stesso tempo, il vicepresidente di FederDistribuzione e amministratore delegato di Gruppo VeGè Giorgio Santambrogio, sostiene inutile se non addirittura dannoso l’assalto ai supermercati, garantendo l’assenza di problemi di logistica per quanto concerne le scorte di pasta nei magazzini almeno fino a luglio, contando in seguito sulla raccolta. Il vicepresidente sostiene inoltre che il problema principale dell’aumento del costo di pane e pasta non è direttamente riconducibile soltanto alla guerra in Ucraina, bensì al rialzo spropositato di gasolio, fonte primaria per le autovetture che trasportano la merce. Peccato che anche il gasolio arrivi dalle zone sotto assedio bellico e l’aumento delle bollette di gas ed elettricità da gennaio 2022 sta mettendo a dura prova le famiglie e i lavoratori. Gli stipendi e le pensioni è prevedibile che restino gli stessi, ma il costo della vita no, soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai beni di prima necessità: l’olio di semi di girasole è un alimento prezioso nell’industria alimentare italiana, basti pensare ai dolci, conserve e fritture nei ristoranti. Inoltre l’utilizzo di questo olio nello specifico ha visto un aumento rilevante di compravendita anche in seguito alla campagna contro l’olio di palma.
Dopo i due anni di pandemia, l’aumento delle bollette, del gasolio e adesso dei fornitori di materie prime sta mettendo in ginocchio le imprese del terziario, che temono di perdere il terreno riacquistato con enorme fatica dopo i due anni del Covid-19, poiché gli agricoltori al momento stanno lavorando in perdita. Secondo i dati di Assalzoo, Associazione Nazionale Tra Produttori di Alimenti Zootecnici, nel nord Italia pare che siano 150mila gli ettari destinati alla coltivazione di mais destinato a convertirsi in combustibile per la produzione di biogas, sottraendolo in questo modo all’alimentazione umana e animale. Questo risulta essere solo un dato in numeri, che prevede, di conseguenza, delle contraddizioni in essere sull’utilizzo fatto fino ad oggi dei terreni agricoli in Italia. A contro argomentare l’idea di Assalzoo è la responsabile della campagna agricola Greenpeace Italia, sostenendo che più della metà dei cereali coltivati in Europa è utilizzata per l’alimentazione animale e sarebbe opportuno considerare la possibilità di ridurre del 10 per cento il numero di capi di allevamento, in modo da poter impegnare i campi nella coltivazione del mais come alimento destinato agli umani e creare, in questo modo, un’indipendenza alimentare dai paesi esteri.
[f.s]