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sabato, 19 Aprile 2025

Diritto 4.0: se firmi un patto non puoi togliermi la “veduta”

13.02.2022 – 11.30 – Siamo in Toscana e la lite scoppia tra vicini di casa. Il proprietario di un immobile lo sopraeleva, alzandolo di un piano o più. Attività in teoria legittima, se non fosse che, così facendo, quel piano in più impedisce la vista al suo vicino di casa che, nel nostro caso, ha proprio una “servitù di veduta”, cioè, il suo immobile ha un diritto di vista che l’immobile sopraelevato deve subire. In pratica, chi ha sopraelevato non poteva farlo, poiché così facendo ha violato un diritto specifico del suo vicino di casa.
Infatti, tra i proprietari dei due edifici era stato firmato un accordo in base al quale era stato stabilito il “diritto di veduta” che, di fatto, impediva la sopraelevazione. I proprietari della casa più bassa decidono di rivolgersi al giudice per ottenere la demolizione del piano in più nella casa cresciuta. Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello giungono alla stessa conclusione: l’intera sopraelevazione deve essere demolita. Se provi a immaginare il costo e l’invasività di queste decisioni, ti è subito chiaro perché la parte sconfitta ha provato a difendere con le unghie e coi denti le opere edili realizzate, rivolgendosi alla Corte di Cassazione.
In particolare, i proprietari della sopraelevazione sostengono che non è necessaria la demolizione integrale delle opere, essendo possibile arretrarle, con l’effetto di allontanarle dal vicino e tutelare, così, il diritto di veduta di quest’ultimo. La Corte di Cassazione riconosce che, astrattamente, questa difesa è corretta.

In particolare, deve applicarsi il principio per cui “l’eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari …, ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti”. In pratica, la demolizione, così costosa e distruttiva, non è detto che sia l’unica soluzione. I giudici chiariscono proprio che, se viene chiesta la demolizione, può ben essere deciso il semplice arretramento dell’opera, poiché la domanda di demolizione contiene anche le soluzioni meno invasive.
Con una particolarità: chi subisce la domanda di demolizione deve essersi difeso chiedendo che, invece della demolizione, il giudice prenda in considerazione anche le soluzioni alternative. E, andando a esaminare le difese del proprietario che ha perduto, c’è anche questa richiesta, che il Tribunale (primo grado del processo) e la Corte d’Appello (secondo grado) non hanno però preso in considerazione.
La Corte di Cassazione (terzo grado) non può mettersi a guardare le piantine e stabilire se ci siano o non ci siano soluzioni alternative alla demolizione, ma può rilevare che queste soluzioni alternative, pur richieste, non sono state valutate dai giudici che l’hanno preceduta. La conseguenza è che il processo dovrà avere un quarto grado di giudizio, ritornando davanti alla Corte d’Appello, che dovrà valutare se sia possibile un arretramento al posto della demolizione integrale. (Cassazione n. 23184/20)

[g.c.a]

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