18.12.2021 – 07.45 – I nati in Italia sono sempre meno e la pandemia non ha aiutato, anzi. Il 2020 segna ancora un altro record negativo per le nascite, con 15mila nati in meno rispetto all’anno prima e il numero medio di figli per donna che scende a 1.24 (era 1.27 nel 2019). Un calo che non sembra volersi arrestare e che, secondo i dati provvisori, vede nei primi nove mesi del 2021 già oltre 12mila nascite in meno. Lo rileva il report dell’Istat che misura la natalità e la fecondità della popolazione residente in Italia nel 2020.
Il trend di denatalità che si sta protraendo negli anni nel nostro paese non si può certo dire sia una novità, la causa è da ritrovarsi in parte nei cambiamenti avvenuti all’interno della popolazione femminile in età fertile: da un lato le baby-boomer ne stanno via via uscendo, dall’altro le giovani sono sempre di meno (come conseguenza del ventennio 1976-1995 che segnò il minimo storico in termini di numero medio di figli per donna). In poche parole le donne che hanno l’età per fare figli sono poche e in diminuzione. È stata l’immigrazione, a partire dagli anni 2000, ad attutire il colpo e a rendere il calo delle nascite un po’ meno drammatico di quanto sarebbe stato altrimenti, un effetto benefico che tuttavia sta lentamente svanendo, anche qui come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione femminile straniera.
A questo si aggiunge poi la difficoltà delle giovani coppie a mettere su famiglia e che si manifesta nel calo registrato nelle nascite di primi figli: nel 2020 sono oltre 8mila in meno rispetto al 2019 e ben il 32,5% in meno sul 2008. Le cause sono note: i giovani hanno sempre più difficoltà a rendersi autonomi, rimanendo spesso a lungo a casa con i genitori, un po’ per la difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro e un po’ per il protrarsi dei tempi di formazione a cui, è inutile negarlo, si aggiunge una certa componente culturale e sociale, con una tendenza in Italia a “lasciare il nido” più tardi rispetto ai coetanei europei. Un dato che si ripercuote anche sul numero di coppie sposate, che tra il 2019 e il 2020 ha visto dimezzarsi i matrimoni. Contestualmente sono sempre meno i figli nati all’interno delle unioni, mentre aumentano quelli nati al di fuori (nel solo nord est la quota di nati da genitori non coniugati è del 37,2%, preceduto solo dal centro Italia con il 42,1%).
E la pandemia in che misura ha contribuito? Non positivamente, e non è difficile intuire il perché: con l’arrivo del virus e il clima di incertezza molte delle coppie che avevano in programma di fare figli hanno deciso di aspettare ancora un po’. Un fenomeno riscontrabile nell’acceleramento della discesa delle nascite concentratasi in particolare nei mesi di novembre e dicembre e che cala ancora più drasticamente a gennaio per riprendere poi, seppure in modo contenuto, nel mese di febbraio e marzo 2021. Un calo dei concepimenti dunque nei mesi del lockdown con una ripresa verso il mese di maggio in concomitanza con le riaperture. Allo stesso modo, anche la seconda ondata ha fatto mettere in standby i progetti famigliari di molte coppie, con un rallentamento delle nascite nel mese di aprile e un crollo nei mesi di giugno e luglio. A posticipare la maternità sono state soprattutto le donne più giovani: il recupero delle nascite registrate, in particolare quello di marzo, ha infatti riguardato principalmente le donne dai 35 ai 44 anni. Un trend che non dovrebbe stupire considerato che in Italia si diventa genitori sempre più tardi, con un’età media al parto di 32,2 anni e di 31,4 per il primo figlio nel 2020, con tassi di fecondità che di anno in anno si stanno andando via via riducendo.
Come era quindi ipotizzabile il Coronavirus non ha contribuito positivamente al trend di denatalità a cui ormai da molto tempo si sta assistendo, con statistiche che anno dopo anno vedono ridursi sempre di più il numero di nuovi nati in Italia, aggravando ulteriormente (così come avvenuto per molti altri contesti) una situazione che di per sé era già molto critica e, probabilmente, questa volta in modo irrecuperabile.