19.08.2021-12.00 – “L’Arte in generale è una faccenda che trascende necessariamente la volontà dell’artista. Laddove ciò non si verifichi, laddove cioè l’opera non trascenda le intenzioni dell’artista, essa si rivela un’illustrazione di alcune idee. Più o meno bella, più o meno complessa, più o meno interessante ma, non funziona in quanto Arte” (“I baffi del Bambino. Scritti sull’arte e sugli artisti”, Luca Bartolo, 2018). Un incipit per spiegare in sintesi la visione assoluta condivisa da Elisabetta Zerial, fondatrice di Zerial Art Project, nel perseguire l’obiettivo di riportare alla luce, attraverso una continua ricerca di artisti, siano essi affermati o emergenti, di far vivere l’arte come un momento di riflessione e contemplazione. Proposito decisamente in controtendenza rispetto al flusso in cui sta navigando da parecchi anni il mondo dell’arte, le cui leggi di mercato hanno determinato un profondo appiattimento della ricerca e della esperimentazione.
Project manager, curatrice e gallerista sono le competenze, normalmente distinte, che connotano la professionalità di Elisabetta Zerial, la quale, nonostante la giovane età, ha deciso di avviare una galleria itinerante in un momento storico in cui ci vuole un gran coraggio per intraprendere questa via. A Trieste, sua città natale dove è ritornata da poco, ha appena debuttato con la mostra “In Deep-la profondità dello sguardo” al Magazzino 26, che sarà aperta gratuitamente al pubblico fino al 12 settembre 2021.
Quando è nata questa tua, direi quasi vitale, passione per l’arte?
“I miei genitori sono grandi conoscitori e appassionati d’arte. Da piccina quando camminavo per strada con mio padre, mi diceva sempre: non guardare per terra, alza lo sguardo e guarda in alto perché ti potresti perdere delle cose bellissime. Poi a 7 anni mi portarono a Firenze a visitare gli Uffizi e lì successe qualcosa di magico. Mi soffermai davanti alla Venere del Botticelli e capii cosa avrei voluto fare da grande. Mia madre mi disse che non potevo rimanere lì tutto il giorno e che le cose da vedere erano tante, ma io le risposi: lasciami qui ci sono tante cose in questo quadro che voglio capire. Voglio fare questo nella vita, capire il significato delle cose e potermi fermare a contemplarne la bellezza”
Quale è stata la tua formazione per essere, così giovane, già project manager, curatrice e gallerista?
“Ho studiato Management dell’Arte alla Ca’ Foscari di Venezia e successivamente ho fatto la specialistica a Firenze, dove mi sono specializzata in Arte Moderna e Architettura protobarocca. Inizialmente, con una tesi che ha arrecato un’importante attribuzione al Vasari, pensavo che avrei seguito con un Dottorato di ricerca i miei studi sul Vasari e l’architettura toscana, ma la cosa non ebbe l’esito che speravo. Fortunatamente mentre studiavo a Venezia iniziai a lavorare per il Premio Arte Laguna e feci uno stage a Firenze da Tornabuoni Arte, dove approfondii le opere dei grandi artisti dell’Arte Moderna e Contemporanea. Da un punto di vista professionale sono cresciuta tantissimo quando, lavorando come project manager per una società toscana che progettava mostre in Cina, ho organizzato l’esposizione “Morandi e De Chirico” al Modern Art Museum di Shanghai nel 2017. In quello stesso periodo, parallelamente, iniziai a curare delle mostre per conto mio con degli studio visit, avvicinandomi sempre di più all’arte contemporanea. Finito il progetto iniziai a lavorare, come Gallery Manager, per le tre sedi (Firenze, Londra, Istanbul) di Aria Art Gallery di Firenze e in seguito passai alla Galleria Contini prima a Venezia e poi nella sede di Cortina d’Ampezzo”.
A soli 30 anni come sei arrivata a fondare Zerial Art Project?
“Mentre mi trovavo a Cortina d’Ampezzo è successo qualcosa, mi sono fermata a riflettere. È vero, non lo metto in discussione, ho avuto la fortuna di fare, da giovanissima, molte esperienze nel mondo dell’arte che mi hanno permesso di conoscere, anche personalmente, grandi artisti di fama internazionale, ma sentivo un grande vuoto e una profonda insoddisfazione. Mi sono resa conto di come tutto fosse diventato sterile e prettamente speculativo. Io ho un imprinting da storica dell’arte e i miei, fin da piccola, mi hanno trasmesso la capacità emozionarmi davanti alla bellezza di un’opera. Vivere questo lato esclusivamente dedito alla vendita mi stava allontanando dall’arte con la A maiuscola, quella che aiuta a pensare e a riflettere, soprattutto in un momento storico come questo.
Così nel 2019 mi sono licenziata e, nello stesso anno a Venezia, ho fondato Zerial Art Project. Da quel momento è iniziata una curiosa avventura. Avevo una bella casa in centro a Venezia e non potendomi permettere di aprire una sede fisica, decisi di utilizzarla come Home Gallery. Feci una selezione di artisti e per fortuita coincidenza, in quel momento c’era la Biennale di Arte 2019, sfruttai l’occasione di partecipare al fuori salone organizzando una serie di eventi. Situazione che rafforzò la mia idea di andare oltre il paradigma della galleria come spazio fisico e creare delle mostre site specific fungendo così da galleria itinerante. Questo permette agli artisti che seguo di entrare in dialogo attraverso le loro opere con altri contesti, rendendoli liberi di esprimersi e sperimentare.”
Ho visto che tra i tuoi artisti alcuni arrivano dall’Africa, come sei entrata in contatto con loro?
“A causa dell’acqua alta a Venezia…Sembra una battuta, ma è così. Dopo quella Biennale, a Venezia, ci fu l’acqua altissima che entrò in casa rendendola inagibile. In quel momento frequentavo una persona che lavorava in Zimbabwe, vista la situazione mi chiese di raggiungerla e così feci. Non appena appena arrivata in Africa presi subito contatto con l’ambasciata italiana, visitai tutte le gallerie possibili e mi feci accompagnare per degli studio visit, dove incontrai artisti incredibili che lavorano in condizioni pazzesche. Fu un periodo emozionante dal quale trassi moltissima energia. Dopo mesi di permanenza pensai di aprire una piccola residenza ma, poi tornai in Italia 4 giorni prima del lockdown e rimasi bloccata. In Zimbabwe non sono più tornata ma, con alcuni di loro continuo a collaborare”.
E Trieste?
Arrivata a Trieste e bloccata dal lockdown, mi sono chiesta: e adesso cosa faccio? Non potevo aprire una Home Gallery in un momento di chiusura totale e così decisi che Zerial Art Project doveva sopravvivere trovando altre strade. Avevo dei progetti nel cassetto praticamente pronti, ai quali iniziai a dare una forma concreta per poterli presentare. Portai il progetto di “In Deep-la profondità dello sguardo” all’assessore alla Cultura di Trieste Giorgio Rossi che lo accolse entusiasta, e dopo una serie di traversie, mi affidò il Magazzino 26”.
Come scegli gli artisti?
“La selezione a livello artistico, anche se chiaramente soggettiva e personale e di artisti che si interfacciano attraverso linguaggi diversi, è attraversata da un unico filo conduttore. Perseguono tutti una ricerca che scava in profondità per portare alla luce contenuti che vogliono dire qualcosa, andando oltre al mero concetto di immagine. Mi trovo spesso a visitare mostre in cui anche se ne leggo la spiegazione non riesco ad interpretarne il messaggio. E parlo io che sono un’addetta ai lavori. Credo che l’arte debba essere accessibile a tutti, come gli affreschi nelle chiese che utilizzavano un linguaggio universale ed estremamente efficace. Venendo da un’esperienza di gallerie importanti, mi sono resa conto che, in questo momento, abbiamo molto bisogno di opere che ti colpiscano, ti diano uno spunto di riflessione, che non vengano dimenticate non appena varchi l’uscio ma ti invoglino ad approfondire. Ad esempio, a Trieste ho voluto che la mostra “In Deep-la profondità dello sguardo” fosse gratuita per poterla rendere accessibile a tutti, scevra da qualsiasi impedimento economico. Nello stesso modo, anche da un punto di vista della vendita delle opere, a meno che non si tratti di artisti che hanno già un valore di mercato alto, voglio dare l’opportunità a giovani collezionisti di poter investire nell’arte con prezzi che non siano gonfiati da una bolla prettamente speculativa, ma ne rappresentino il valore reale”.
Nuovi progetti?
“L’anno prossimo sarò a Roma con tre dei miei artisti africani, mentre tra poco parteciperò con un grosso evento a Palermo durante la Settimana delle Culture, manifestazione organizzata dal Comune di Palermo, l’assessorato alla Cultura e il MiBACT Ministero dei beni culturali. Per arrivare a Palazzo Branciforte sede della Fondazione Sicilia, ho dovuto vincere un bando, il cui progetto lo scrissi mentre ero in Africa. A Palermo ho tutti artisti giovani che lavorano sul posto e sperimentano con lo spazio che li circonda. Preferisco fare mostre site specific, per dare carta bianca e libertà agli artisti, nelle gallerie diventano schiavi del sistema. Io stessa sono una persona libera e ci tengo molto alla mia indipendenza e così deve essere anche per l’artista, libero di esprimersi e sperimentare per poter continuare a crescere. In questa occasione ci sarà anche Valerio Dehò come curatore.
Al pianterreno, nella cosiddetta Cavallerizza, avrà luogo una personale di Paolo Cervi Kervischer, “Erysichthon – A new deal”, le cui opere saranno in dialogo con una meravigliosa collezione archeologica permanente. Sopra nell’area dell’ex Monte dei Pegni di Santa Rosalia, un luogo magico con soffitti lignei di 12 metri composto da 6 stanze restaurate da Gae Aulenti, verranno allestite delle mini-personali degli altri artisti con opere ad hoc realizzate su diversi media. In riferimento al significato di quello che quel luogo storicamente rappresentò il tema scelto riguarda la Memoria. Ad esempio, Leonardo Meoni realizzerà un video project che ha come soggetto i “confini” e verrà proiettato sulla facciata che dà le spalle al Nord Africa. Camilla Marinoni farà delle sculture con dei pani, che ne racchiudono diversi significati dal valore religioso a quello collegato ad un discorso interculturale. Dionea Cicconi, con l’installazione “XYZT.SP”, una struttura autoportante in metallo con una superficie specchiante sul fronte, negli gli spazi di Palazzo Branciforte, aprirà un confronto con le opere presenti nella Sala delle Sculture, tentando di stabilire un dialogo tra le fasi del tempo (passato, presente e futuro) e le loro alterazioni.
La cosa che io voglio è che l’artista, nella molteplicità delle dimensioni che io propongo, si senta libero di pensare, e che riesca a creare una sinergia anche con gli altri artisti, perché credo profondamente nel lavoro in team e nella compartecipazione”.
[l.f]