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“Il libro della follia” di Anne Sexton: la prima versione integrale in Italia pubblicata da La nave di Teseo

14.07.2021 – 09.00 – Dopo quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione di The Book of Folly di Anne Sexton, uscito negli Stati Uniti nel 1972 e mai tradotto integralmente da nessuna casa editrice in Italia, quest’anno, per la prima volta in assoluto, Il Libro della Follia è stato pubblicato in versione integrale dalla casa editrice La nave di Teseo, a cura della traduttrice Rosaria Lo Russo.
Il libro presenta esclusivamente le poesie e tre storie inedite (Cala le ciocche; Il Balletto del Buffone; Ballare la giga) della scrittrice americana Anne Sexton (1928-1974), senza nessuna introduzione o prefazione, quasi a voler suggerire al lettore di porre ogni suo sforzo di attenzione solo sulla poesia travolgente dei versi della poetessa.
Ogni pagina è intrisa di scene surrealiste pregne di una scrittura psichedelica, lontanissima dai canoni metrici tradizionali, ma piuttosto ruggente e graffiante come un pezzo rock. Attraverso l’uso altissimo e consapevole di ogni parola, la Sexton squarcia in due ogni perbenismo americano incastrato e alienato nel puritanesimo dell’epoca che vedeva la stessa poetessa succube di maltrattamenti comuni nell’alta borghesia.

Sposata con un uomo benestante, Anne Sexton subì spesso atti di violenza che la portarono ad amplificare la sua già latente malattia mentale, fino ad arrivare al punto di bramare la morte ed esserne grottescamente attratta.
Grazie al suo psicanalista che le consigliò di iniziare a scrivere poesie per tenere sotto controllo il suo bipolarismo, Anne Sexton decise di frequentare i corsi del poeta Rober Lowell, convinta che non avrebbe mai apprezzato i suoi versi.
Al contrario, Lowell restò piacevolmente stupito dall’originalità e dalla padronanza dei contenuti che la giovane poetessa riusciva a sviscerare in maniera rapida e brutale, per portarla niente meno che alla vincita del premio Pulitzer nel 1967 con la poesia Live or Die.

In quegli stessi anni, Anne Sexton conobbe Sylvia Plath di cui divenne intima amica a cui dedicherà una poesia dopo la sua morte per atto suicida. Entrambe si ritrovarono a masticare i rimasugli della stessa fine, quando insieme dopo le lezioni di Lowell, si chiudevano in un bar a scolarsi Martini e a confessarsi quanto pensassero alla morte come idea sublime, deliziosa e intrigante. Ma era così, in realtà, solo per la Sexton, poiché Sylvia Plath all’ennesimo tentativo di suicidio, che funzionò, sperò fino all’ultimo in un gesto salvifico da parte di chiunque, lasciando un biglietto sul tavolo della cucina. Per Anne Sexton, invece, anche la morte fu un gesto di teatro confessionale, dannatamente coerente con tutta la sua scrittura, quando decise di indossare una pelliccia, prendersi un bicchiere di vodka con ghiaccio e scendere in garage per chiudersi dentro la macchina e lasciarsi soffocare.

La sua poesia bruciante, scomodissima, fuori da ogni canone prestabilito, era il preludio di una generazione rock, di moltissimi altri poeti che si rifecero a lei come musa ispiratrice delle loro poesie, autori e musicisti come Peter Gabriel e Kate Bush la ricercarono nei loro versi. La sua figura così scorretta, che trasudava sberleffo, provocazione e attrazione estetica, si rivelava nelle sue entrate barcollanti dall’alcol alle lezioni di poesia, perfettamente truccata e ingioiellata, si mostrava all’eccesso del sentire più intimo, spezzando così ogni sorta di femminismo, di perbenismo e coscienziosità.

Ad oggi ci è dato finalmente di poter godere della sua opera più cruda, ma forse la più adulta, scollata da ogni lirismo e fedelissima alla sua promessa di morte.
Di seguito proponiamo una delle poesie della versione integrale de Il Libro della Follia  di Anne Sexton (La nave di Teseo, maggio 2021):

OSTRICHE:

Ostriche mangiavamo
dolci bellezze blu,
dodici occhi mi guardavano dal piatto,
asperse di limone e di tabasco.
Avevo paura di mangiare questo cibo paterno,
e Papà rise
e tracannò un martini
trasparente come lacrime.
Era un farmaco soave
che dal mare veniva alla mia bocca
umido e grassoccio.
Lo ingoiavo.
Andava giù come un gran budino.
L’ho mangiato all’una in punto, alle due in punto.
E poi ho riso, abbiamo riso allora
e – fammelo scrivere –
c’è stata una morte,
la morte dell’infanzia
là, alla Casa dell’Ostrica,
perché avevo quindici anni
e mangiavo le ostriche.
Una bambina sconfitta.
Aveva vinto la donna.

f.s

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