02.06.2021 – 09.00 – Le voci che stanno rimbalzando nelle ultime ore vedrebbero l’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu fuori dal governo. Si starebbe delineando infatti una coalizione guidata dal partito di destra nazionalista Yamina di Naftali Bennett (ex fedelissimo dell’attuale premier) insieme al leader centrista Yair Lapid, che porterebbe così alla nascita di un nuovo governo, per la prima volta dopo più di 12 anni senza Netanyahu. Decisivi passi avanti sono stati fatti nelle scorse ore, con le delegazioni dei due partiti che si sono incontrate dopo l’apertura da parte di Bennett all’ipotesi di un governo misto di unità nazionale.
Entrato in politica nel 1988 con il partito di centrodestra Likud – di cui è ancora oggi il leader – Netanyahu negli anni si è spostato sempre più a destra, cercando anche alleanze con quei partiti religiosi tanto potenti nel suo paese. Ora però sembra messo spalle al muro, con ancora poche carte da giocarsi per restare in carica.
Ma Netanyahu non vuole cedere, e ha dichiarato che il tentativo di estrometterlo “sarebbe la truffa del secolo, è scandaloso che si possa governare con così pochi seggi”. Ha dichiarato inoltre di aver proposto a Bennett un posto nel governo in modo da impedire la creazione di quello che definisce “un pericoloso governo di sinistra”, offerta da lui stesso descritta come irrinunciabile ma che è stata però rispedita al mittente dallo stesso Bennett.
L’esecutivo anti-Netanyahu, ribattezzato “governo del cambiamento”, riunisce 8 liste che spaziano su tutto lo spettro politico: si va dalla destra nazionalista di Bennett, dalle posizioni apertamente razziste e che si è più volte dichiarato contrario allo stato Palestinese, passando per la destra moderata guidata da Gideon Saar e i centristi di Yesh Atid (il partito di Lapid), fino ad arrivare ai partiti considerati di sinistra come Meretz e Labour. Insomma un unico grande calderone dove affiorano idee diverse e per certi versi opposte tra le parti, ma unito dalla sola volontà di rompere con il passato, rappresentato appunto dal primo ministro uscente Netanyahu.
“A nessuno verrà chiesto di rinunciare alle proprie idee, ma tutti dovranno posticipare la realizzazione di alcuni dei loro sogni. Ci concentreremo sul possibile, anziché discutere dell’impossibile” – ha affermato Bennett pochi giorni fa. Lo stesso leader di Yamina assumerebbe l’incarico di primo ministro fino al 2023, per poi cedere il passo a Lapid per i successivi due anni, nell’ottica di una rotazione già concordata.
In ogni caso la situazione non è ancora ben definita, e sarà decisivo in questo caso vedere quanti deputati di Yamina seguiranno Bennett; alcuni di loro sembrano infatti restii a governare insieme a forze politiche così distanti dalla loro ideologia.
Il tempo a disposizione non è molto, considerando che il mandato per formare un nuovo esecutivo – dato dal presidente Reuven Rivlin allo stesso Lapid – scadrà nella giornata di mercoledì 2 giugno, ma in questo senso sono previsti ulteriori incontri tra le parti nelle prossime ore per giungere ad una fumata bianca.
L’ex giornalista Lapid ha ammesso che ci sono ancora diversi ostacoli sulla formazione del nuovo governo, ma si definisce comunque fiducioso di poter concludere le trattative per dare ad Israele un nuovo premier nel giro di una settimana. “Bisogna riportare la calma nel paese, e per farlo va cambiata la leadership. Le recenti dichiarazioni di Netanyahu sono pericolose, frutto di un pazzo che non ha più limiti, e che indebolisce tutto il popolo israeliano” ha chiosato Lapid.
In ogni caso non sembra un’operazione facile per Lapid, visto che l’esecutivo anti-Netanyahu porterebbe ad oggi in dote 58 seggi, 3 in meno dei 61 necessari per formare un nuovo governo sulla base della maggioranza assoluta (in Israele vige un sistema elettorale proporzionale con soglia di sbarramento del 3,25% in un parlamento composto da 120 seggi). Lapid e Bennett dovranno quindi convincere singolarmente altri 3 tra i 16 parlamentari dei partiti degli arabi israeliani, considerando che Netanyahu al momento conta 46 seggi (30 del suo Likud e 16 degli alleati ebrei ortodossi).
Se Lapid e Bennett dovessero riuscire nel loro intento, quello che si profila sarebbe comunque un governo debole, caratterizzato da un’ampia diversità di vedute sui temi più caldi, come per esempio il destino dei palestinesi che abitano nei territori occupati da Israele. L’ipotesi da non scartare sarebbe comunque quella di un pacifico scioglimento dopo l’ottenimento di alcuni risultati per poi tornare nuovamente al voto.
Se d’altra parte i due alleati dovessero fallire, si farebbe viva la strada delle nuove elezioni entro la fine dell’anno, forse senza l’uscente Netanyahu.
di Christian Deiuri