29.05.2021 – 09.22 – Un cavaliere errante, una principessa, una torre adorna di macabri teschi. Sembra la descrizione di una favola, ma fu quanto il triestino Filippo Zamboni vide a metà ottocento, quando si recò in viaggio in Montenegro. Lo racconta egli stesso nei suoi Prolegomeni all’opera “Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi”, trasfigurando l’esperienza attraverso il filtro di un uomo romantico, teso al gesto “teatrale”:
Una volta mi invaghii violentemente della lontanissima principessa del Montenegro, triestina, che dicevano infelice anche per dover sostenere la vista di un torrione davanti le sue finestre, tutto incoronato di teschi di Turchi. Fui colà. Entrai nella reggia di legno con tutto il cavallo. Salito, trovai Darinka [sic] in costume nazionale, corteggiata dalle sue damigelle. Neppure dirlo che mi parve bellissima.
Darinka in realtà non era montenegrina, ma la figlia di una ricca famiglia serba, le cui fortune commerciali le avevano consentito l’opportunità di sposare un monarca, con un passaggio all’aristocrazia degno dell’ancient regime. Si trattava della dinastia imprenditoriale dei Kvekich, i quali tra settecento e ottocento erano rapidamente divenuti tra i più potenti mercanti di Trieste.
Il primo esponente di cui si abbia notizia, Antonio, giunse a Trieste calzolaio (1780) e dopo nemmeno vent’anni divenne azionista delle principali assicurazioni triestine; il suo successore Marco accumulò invece ingenti fortune quale capitano marittimo, divenne poi armatore e infine commerciante all’ingrosso, oltre che azionista della “Società Slava di Assicurazioni Marittime”.
I due figli maschi che ereditarono le fortune della famiglia le dispersero ai quattro venti nella seconda metà dell’ottocento; ma tra i (tanti) figli di Marco Kvekich la settimogenita, Darinka, era destinata a passare alla storia (1836-1892).
Non aveva infatti che diciassette anni quando la famiglia riuscì a combinare un fidanzamento (1853) con il principe del Montenegro Danilo I Petrovic-Njegos. Per lo stesso monarca fu una scelta radicale, perchè fino a quel momento il piccolo stato balcanico aveva sempre avuto un “vladika”, un principe-vescovo la cui transizione di potere prevedeva che lo zio passasse il trono al nipote, fondendo l’elemento famigliare/dinastico con quello ecclesiastico. Danilo ruppe questa tradizione secolare che proseguiva dal 1696; e con una triestina niente di meno.
Il matrimonio avvenne nella capitale del Montenegro – Cetinjie – nel 1855. La sposa si recò nel nuovo paese con un piroscafo, accompagnata dalla madre, dal fratello Jovan e da cognato Camillo, un nobile romano che aveva sposato la sorella di Darinka. Nonostante l’appartenenza nobiliare del fidanzato, era la neo principessa a portare la dote maggiore: centomila fiorini dal padre e cinquantamila fiorini dalla madre.

Il matrimonio, stando ai gossip dei giornali del tempo, era felice; la giovane coppia presto si adoperò per riformare il piccolo stato montenegrino. La triestina, appassionata di cultura francese, trasformò la casa del principe in una moderna reggia, introducendo il francese come linguaggio ufficiale dell’etichetta di corte e l’abitudine di leggere i giornali internazionali. Darinka inoltre s’interessò attivamente del paese, fondando scuole e istituzioni filantropiche, oltre a rivoluzionare la vita sociale introducendo rispettivamente l’ora del thé dall’Inghilterra e i ricevimenti culturali da Trieste, a loro volta traslati dall’ambiente culturale italiano.
L’azione di Darinka, va rilevato, rappresentò forse il lato migliore del governo di Danilo, il cui regno fu caratterizzato da un dominio brutale e autocratico, teso all’annientamento delle tribù rivali che ne minavano la fragile integrità statuale. Il principe montenegrino corteggiò a lungo la Russia in funzione anti austriaca, ma senza ottenere reali vantaggi; e passò poi a flirtare con la Francia imperiale, ma senza ricavarne una reale alleata. Eppure a Danilo non può essere negato il merito di aver traghettato il Montenegro nell’età moderna, con tutte le sue contraddizioni.
Una ventata di novità forse eccessiva per un piccolo paese che faticosamente tentava di trovare il suo posto in Europa. Nemmeno cinque anni dopo, nell’agosto 1860, il sangue del principe Danilo bagnava la sabbia della spiaggia di Cattaro, ucciso a bruciapelo dalla pistola di un montenegrino. Secondo alcuni un regolamento di conti; secondo altri un sicario dell’Impero ottomano che disapprovava tanta autonomia nei confronti di un ex stato suddito. Darinka, appena ventenne, mantenne un’ammirevole freddezza: alcune ore dopo la morte dell’amato evitava una crisi di governo imponendo, come voleva la tradizione, le insegne regali al figlio del fratello di Danilo, il nipote Nicola. Questi a sua volta, proprio grazie all’incoraggiamento della famiglia Kvekich, aveva passato l’adolescenza nel liceo parigino “Louis le Grand” ricevendo un’istruzione moderna. Durante l’infanzia aveva inoltre conosciuto il triestino e futuro garibaldino Eugenio Popovich. I legami con Trieste e con la famiglia Kvekich precedevano lo sposalizio di Darinka; e Nicola proseguì questo rapporto italo-austro-montenegrino; dallo sposalizio infatti con Milena Vukotic nascerà infatti nel 1873 Elena, futura sposa di Vittorio Emanuele III di Savoia. Darinka, dal suo canto, affiancò per un periodo il nipote Nicola prima di ritirarsi a vita privata nel Palazzo Tiepolo con l’unica figlia Olga e la sorella Aspasia, la quale a sua volta diverrà dama di corte della regina Elena.

La figura di Darinka, verso la seconda metà dell’ottocento, affascinò la mente degli europei; mentre per Trieste, porta d’Oriente, si trattava di vicende di casa, normali intrallazzi tra l’alta borghesia e l’aristocrazia balcanica, per Francia e Inghilterra le vicende della principessa e del suo giovanissimo sposo risultarono cariche di fascino, di mistero orientale.
L’operetta “La vedova allegra”, di Franz Lehàr, era chiaramente ispirata alle vicissitudini di Darinka, tratteggiando gli intrighi del micro stato di Pontevedro, una satira del Montenegro ottocentesco.
Filippo Zamboni – ma non è mai stato confermato, disponiamo solo della sua fervida fantasia – visitò il Montenegro proprio per ammirare la bellezza della principessa; e la descrizione romanzata trasmette bene una certa qual atmosfera barbarica, eppure carica di sensualità vampiresca.
Vuk Popovich descrisse la principessa come “di media statura e di bellezza non eccezionale… ma dallo sguardo vivace ed altero portamento”. I biografi la descrivono come una giovane eccezionalmente pallida, dal naso un po’ lungo e dai magnetici occhi neri, a cui risultavano naturale complemento i capelli corvini.
Quale conseguenza dell’infanzia trascorsa a Trieste Darinka sapeva parlare italiano, serbo, tedesco e francese; ed era una chiara francofila, a tale punto che nel 1856 mandò in dono all’Imperatore Napoleone III un abito montenegrino che aveva ricamato con le sue ancelle.
È evidente dunque come, complice soprattutto la giovanissima età, vi fu da parte dei giornali e della borghesia europea la costruzione di un mito attorno a Darinka che ruotava essenzialmente sul fascino spinto fino alla feticizzazione per l’oriente balcanico, a metà tra influenza slave e ottomane. La realtà, coi suoi lutti, con le sue instabilità politiche, con l’intrinseca povertà dei Balcani del tempo, era purtroppo ben diversa.
Fonti: Genti di San Spiridione: i Serbi a Trieste, 1751-1914, a cura di Lorenza Resciniti, Michela Messina, Marisa Bianco Fiorin, catlaogo della mostra del 2009
L’articolo in questione è parte di un podcast in lavorazione sulla storia delle famiglie serbe triestine, in collaborazione con l’Associazione Culturale Giovanile Serba.
[z.s.]
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