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venerdì, 18 Aprile 2025

Cose dell’altra Europa: la diplomazia dei vaccini della Serbia e altre notizie importanti

Balcani Occidentali 

06.04.2021 – 13.37 – Serbia-Balcani Occidentali: Nel weekend del 27 e 28 marzo, migliaia di cittadini di paesi confinanti si sono recati in Serbia, dove hanno ricevuto la prima dose di vaccino semplicemente esibendo un documento di identità.
Perché conta: Come scritto da Ispi, “la campagna vaccinale sta aiutando il presidente serbo Aleksandar Vučić a consolidare, soprattutto agli occhi dell’Occidente, la propria immagine di leader regionale”. Per la Serbia la pandemia rischia infatti di trasformarsi nel più grande successo di soft power dal 2000 ad oggi. E il trionfo di Belgrado è anche quello di Pechino e Mosca. Grazie alla sua classica politica intrinsecamente multilaterale, la Serbia ha infatti ricevuto vaccini da tutti i partner principali – Sinovac dalla Cina, Sputnik V dalla Russia, Pfizer e AstraZeneca dall’Occidente. Grazie a questa sovrabbondanza, come ritmo di vaccinazione, la Serbia sta surclassando quasi tutti i paesi Ue e, soprattutto, tutti gli altri Stati dei Balcani occidentali. Le cui manifeste carenze nell’approvvigionamento e nella somministrazione del vaccino contro il coronavirus hanno spalancato le porte alla sua influenza. Oltre a invitare i cittadini dei paesi vicini a vaccinarsi in terra serba, Belgrado ha consegnato vaccini ai governi locali prima di tutti gli altri attori, Ue inclusa. Quasi tutte le poche dosi attualmente disponibili in Montenegro, Macedonia del Nord e Bosnia Erzegovina sono state inviate da Belgrado, riscopertasi per quest’occasione speciale capitale informale dell’ex Jugoslavia. La tattica di Vučić viene facilitata anche dalla Repubblica serba, l’entità a maggioranza serba: Banja Luka ha tutto l’interesse a ostacolare l’azione delle autorità bosniache, sfruttando il complicatissimo sistema che regge il paese, così da dare modo a Belgrado di presentarsi come il deus ex machina risolutore venuto da fuori per salvare i propri connazionali in terra bosniaca. Inoltre, mentre l’Ue annaspa e non pare in grado di rispettare gli impegni presi con i partner balcanici, le autorità serbe hanno già annunciato l’intenzione di produrre in patria i vaccini russo e cinese, grazie anche al sostegno degli Emirati arabi uniti. Potranno così iniziare ad esportarli all’estero. Una lezione bruciante per il fronte occidentale, poco abituato a vedersi superare in efficienza e lungimiranza dalle potenze rivali nel quadrante balcanico.

Per approfondire: Intervista a Vuk Vuksanović, esperto di geopolitica serba [Trieste.News]

Montegro-Bosnia-USA: Venerdì 26 marzo, intervenendo al parlamento montenegrino, il ministro della Giustizia Vladimir Leposavić ha dichiarato di non credere, al momento, che quanto avvenuto a Srebrenica nel luglio 1995 sia unanimemente classificabile come “genocidio”. Il politico filoserbo ha definito “delegittimato” il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, che ha così classificato i massacri di bosgnacchi avvenuti a Srebrenica, citando l’incapacità della corte di perseguire i responsabili del traffico di organi avvenuto durante la guerra di secessione del Kosovo dalla Serbia. L’ambasciata americana in Montenegro ha subito intimato al governo di rettificare.
Perché conta: Una rondine non fa primavera, ma due forse sì. Come osservato da questa rubrica, già lo scorso 9 gennaio il premier montenegrino Zdravko Krivokapić aveva fatto gli auguri alle autorità della Repubblica serba, che continuano a celebrare in quella data la loro festa di indipendenza, nonostante il parere contrario della Corte costituzionale bosniaca. L’uscita di Leposavić si inserisce nello stesso filone: lanciare segnali di affetto e sintonia a Belgrado. Aderire a una narrazione dei fatti di Srebrenica, se non negazionista, perlomeno riduzionista, è un modo per esibire la propria vicinanza alla Serbia e alle sue cause. Chiunque abbia un minimo di familiarità con l’ex Jugoslavia, sa bene che, terminate le ostilità degli anni ‘90, la memoria e le narrazioni delle stesse sono diventate il nuovo campo di battaglia. Il nome “Srebrenica” evoca spettri in entrambi i fronti. I bosgnacchi ritengono la carneficina che fu attuata nella “città argentata” (più di 8 mila persone inermi trucidate in dieci giorni) il loro Olocausto personale. I serbi, perlomeno quelli più nazionalisti, negano questa ricostruzione, sostenendo che definire “genocidio” quegli avvenimenti turpi non sia che una delle espressioni della campagna antiserba ordita dalle potenze occidentali. Fin dai bombardamenti Nato della primavera del 1999 Belgrado ha imperniato sul vittimismo buona parte della propria politica estera, rifiutandosi – se non per una breve stagione seguita alla detronizzazione di Slobodan Milošević – di confrontarsi con le proprie responsabilità nel cruento smantellamento della federazione jugoslava. Se dichiarazioni come quella di Leposavić segnano visibilmente un cambio di passo rispetto alla precedente amministrazione montenegrina, egemonizzata da quel Pds divenuto negli anni quasi antiserbo, resta ancora da capire quanto e come il nuovo esecutivo possa davvero ricomporre “l’amicizia fraterna” tra Podgorica a Belgrado, come promesso da dal premier. Tra il dire e il fare c’è di mezzo la Nato.

Per approfondire: Il Montenegro ha chiesto all’Unione europea di sostituirsi come creditore alla Cina [Linkiesta]

Europa Centrale 

Slovacchia: La grave crisi di governo scatenata dalla decisione del premier Igor Matovič di acquistare in segreto 200 mila dosi del vaccino russo Sputnik V nonostante l’opposizione degli alleati di governo, si è conclusa con un cambiamento cosmetico. Matovič e il ministro delle Finanze Eduard Heger (suo compagno di partito) si sono scambiati la sedia: da giovedì primo aprile Heger è il nuovo primo ministro slovacco. La squadra di governo è rimasta inalterata, tranne al ministero della Salute. Il generale Vladimír Lengvarský ha sostituito Marek Krajčí, corresponsabile assieme all’ormai ex premier dell’affaire Sputnik V.
Perché contaDue dei quattro partiti che sostengono la maggioranza – “Per la gente” e “Libertà e solidarietà” – avevano minacciato di abbandonare la coalizione se Matovič fosse rimasto al suo posto. La presidente slovacca Zuzana Čaputová, punto di riferimento dei partner Ue e quindi degli europeisti slovacchi, non ha avuto dubbi. Nonostante l’83% degli slovacchia sia insoddisfatto dell’attuale esecutivo secondo i sondaggi, che danno apertamente avanti il partito socialdemocratico fondato dall’ex premier Peter Pellegrini, il ritorno alle urne andava scongiurato in ogni modo. Per due ragioni principali. La prima, la più intuitiva, è l’attuale frangente pandemico, che sconsiglia l’indizione di consultazioni elettorali a qualunque autorità politica che abbia a cuore la salute della propria popolazione. La seconda è di ordine geopolitico, e ha contribuito a far pendere la bilancia verso la continuità. La genesi e l’epilogo di questa crisi politica profondamente geopolitica hanno infatti illuminato i limiti dell’autonomia strategica di Bratislava. Visto da Washington e Bruxelles, questo governo, nonostante le pulsioni filorusse smaccatamente emerse (anche) in questa occasione, rappresenta il proverbiale male minore. Questo perché, nell’odierno quadro politico slovacco, la coalizione populista-conservatrice che sarà adesso guidata da Heger è probabilmente l’esecutivo più filoccidentale che si possa sperare. Tra quelle presenti in parlamento, la principale forza dell’opposizione è lo Smer, quei socialdemocratici, che, durante il lungo premierato di Robert Fico, hanno già governato per tre mandati, perseguendo politiche affini in alcuni ambiti (come la lotta all’immigrazione) a quelle di Viktor Orban, e rivendicando un rapporto speciale con Mosca. Oltre a loro, restano soltanto, i Kotlebovci, la fazione di Marian Kotleba, apertamente neonazista, sovranista ed euroscettica. Tranne ai loro elettori, a nessuno, in Slovacchia e fuori, piacerebbe averli al governo.

Per approfondireDa Bratislava è arrivata la conferma: il Gruppo di Visegrád non esiste [Limes]

Cechia -Russia – Cina: Sabato 27 marzo il miliardario Petr Kellner, uomo più di ricco del paese e tra i più accesi fautori di una politica estera filocinese e filorussa, è deceduto in un incidente in elicottero in Alaska. 
Perché conta: Kellner era il socio di maggioranza (circa il 95% delle quote) del gruppo PPF, una holding con un portfolio di interessi estremamente composito. Il tycoon, che aveva un patrimonio stimato di circa 15 miliardi di euro, deteneva un potere economico e mediatico enorme. Lo scorso ottobre la PPF aveva finalizzato l’acquisto della Central European Media Enterprises (CEEE), il network che gestisce le principali televisioni in Cechia, Slovacchia, Romania, Bulgaria e Slovenia. Negli ultimi anni Kellner aveva operato per spingere il suo paese verso est, in alleanza con il presidente ceco Miloš Zeman. I due si erano recati spesso in Cina assieme. Per Kellner, imprenditore notoriamente schivo e poco propenso alle uscite pubbliche, stringere rapporti con Pechino era innanzitutto un’opportunità economica. Home Credit, una società controllata dalla PPF, è stata la prima azienda di proprietà completamente straniera autorizzata a operare nel settore del credito al consumo cinese, e una delle prime aziende non cinesi in generale autorizzata a sbarcare nel mercato interno dell’Impero del centro. Dal 2010 Home Credit ha erogato prestiti a cittadini cinesi per circa 11 miliardi di euro. Nel 2019 il portale investigativo ceco Aktuálně.cz ha scoperto che la società aveva segretamente ingaggiato un’azienda di PR ceca per migliorare l’immagine della Cina nel paese centroeuropeo. Kellner, insomma, poteva essere considerato una quinta colonna di Pechino in terra ceca. La sua morte, dovuta secondo le autorità americane a un guasto tecnico o a un errore umano, agevola ulteriormente l’attuale percorso di distacco dalla Cina su cui Praga sembra essersi instradata.

Per approfondire: Russia-Cina oppure Occidente? La Cechia e l’arte della dissimulazione [Limes]

s.b

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