15.03.2021 – 13.10 – Il 25 marzo si è tenuta la conferenza dal titolo “La European Green Belt Initiative: dalla cortina di ferro al corridoio ecologico. Storia di un confine dall’antichità alla Guerra Fredda“, con l’intervento dell’architetto Moreno Baccichet, il quale, partendo dalla gigantesca rete ecologica sorta dove passavano le linee del fronte della guerra fredda, ha illustrato quanto rimane di quel periodo in Friuli Venezia Giulia, nonché il loro (scarso) livello di conservazione.
La cortina di ferro ha lasciato una lunga cicatrice verde lungo tutto il continente, che partendo dal confine finlandese-russo arriva a quello bulgaro-turco. Nel 2014 è nata in Repubblica Ceca la European Green Belt un’associazione che aspira a proteggere questo enorme ponte ecologico, progetto a cui la nostra regione ha poi aderito l’anno seguente in virtù del fatto che l’ex confine italo-jugoslavo è parte importante di questa enorme fascia verde.
E proprio nella nostra regione la cortina di ferro ha costituito (e costituisce tuttora) un’importante opera infrastrutturale di cui si sa pochissimo perché, nonostante tali opere siano in uno stato di degrado e abbandono ormai trentennale, rimangono coperte da segreto, con il risultato che la regione stessa ignora quante e quali opere difensive permangono nel territorio regionale.
Ciò che appare evidente, è che si articolasse in tre linee difensive discontinue, la prima lungo i confini con Austria e Jugoslavia, la seconda lungo il torrente Torre e la terza lungo il Tagliamento. A cui si accompagnavano strutture aggiuntive come polveriere, caserme e poligoni.
Il dottor Baccichet ha comparato questa enorme fatica infrastrutturale con il Deserto dei Tartari: si continuò a costruire questa grande muraglia, benché, non solo il nemico non arrivò mai ma, anche qualora fosse giunto, sarebbe stata comunque una fatica pressoché inutile, in quanto i piani sia della Nato che del Patto di Varsavia prevedevano di fare terra bruciata della regione usando testate nucleari a corto raggio. Oltretutto, non solo tali strutture erano già vecchie quando furono costruite – come emerge confrontando quelle costruite negli anni ‘50 con quelle costruite negli anni ‘70 – ma è probabile che fossero anche inizialmente mal posizionate perché, come scoprì la CIA nel 1975, i piani sovietici prevedevano sì un’invasione dell’Italia passando dalla nostra regione, ma non attraverso la Val Canale come si credeva ma dall’area di Gorizia.
Ciò che appare evidente, è che questa infinita opera costruttiva e ricostruittiva ha inciso profondamente nello sviluppo della nostra regione tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ‘90, infatti, non solo il Friuli Venezia Giulia è stato riempito di servitù militari e caserme, ma anche progetti squisitamente civili ne subirono l’influenza come, ad esempio il sincrotrone e l’autostrada di Gorizia le cui posizioni furono scelte dai militari.
Ma cosa rimane? Ruderi, di caserme, alloggi di ufficiali e soldati e polveriere, che spesso vengono distrutti in modo improprio e sono generalmente in pessimo stato di conservazione, perché pensando che non sarebbero sopravvissuti, furono costruiti con materiali scadenti cosa che rende molto più complesso e costoso un loro eventuale recupero.
Secondo l’architetto Baccichet è essenziale che venga eseguito finalmente un censimento delle strutture presenti, in modo da poter capire se e quali usi possono avere e poi eventualmente recuperali, prima che molte siano ingoiate e cancellate dall’avanzare della natura o dei campi coltivati, privandoci di un pezzo della nostra memoria collettiva. Infatti, al momento esiste solo un censimento dei resti della guerra fredda solo per la provincia di Pordenone ed è stato realizzato da volontari, la regione non ha mai realizzato un simile elenco e il Ministero della Difesa, come detto precedentemente, ancora protegge i suoi dati in merito a tali strutture.
Va sottolineato, che già esistono alcuni (rari) casi dove queste strutture sono già state restaurate e preservate, come a Cordovado dove il comune ha acquistato e preservato la ex base missilistica, ma il fatto stesso che siano i comuni a dover teoricamente prendersi carico di tali infrastrutture ne rende assai più arduo il recupero. In quanto molte di esse si trovano in piccoli comuni privi delle risorse necessarie e essendo posizionate spesso in aree isolate l’interessamento dei privati per esse è scarso.
Ovviamente, non tutte le strutture possono essere recuperate e per alcune lo stato attuale sarebbe opportuno preservarlo per ragioni ambientali, come nel caso degli ex poligoni che hanno preservato l’ambiente della prateria offrendo rifugio alle allodole che sono in via di estinzione nella nostra regione. Mentre, in altri casi non solo gli abbattimenti sono opportuni ma anche utili alla salute pubblica in quanto molti edifici contengono eternit che ovviamente si sta degradando e le cisterne di benzina interrate rischiano di collassare contaminando i terreni.
In generale, qualunque valutazione dovrebbe essere presa in tempi prossimi perché se si decidesse di aspettare altri vent’anni la natura avrà avvolto molte strutture al punto tale da rendere sia gli abbattimenti che eventuali recuperi infinitamente più difficili e dispendiosi.
[a.z]