13.03.2021 – 10.00 – Un puzzle a base di continenti, un gigantesco gioco d’incastro geologico dove le singole componenti sono intere placche tettoniche. Questo l’enigma scientifico, il “gioco” se vogliamo, risolto da un team internazionale di scienziati al cui interno un ruolo di alto profilo è stato rivestito dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.
In origine, miliardi di anni fa, esisteva un unico supercontinente, chiamato Gondwana, che includeva l’odierna Australia, India, Sud Africa, Medio Oriente e l’Antartide. Antiche sopravvivenze di questo supercontinente, in un’era antecedente alla civiltà umana e alla stessa vita multicellulare sul Pianeta Terra, persistono sotto la calotta di ghiaccio dell’Antartide. Eppure non era mai stato chiarito in quale modo i continenti odierni formassero Gondwana; in quale modo l’Antartide si fosse “combinata” con l’India o con l’Australia o con uno dei tanti continenti “moderni”.
Attraverso i dati magnetici dei satelliti della missione Swarm dell’ESA, combinati con le rilevazioni degli aerei sull’Antartide, è stato possibile creare una vera e propria fotografia “magnetica” capace di spiegare come le placche tettoniche si siano allontanate tra loro nel corso di milioni di anni, portando alla disgregazione dell’antica Gondwana. Uno studio che a sua volta ha arricchito notevolmente la conoscenza della geologia subglaciale dell’Antartide.
L’OGS, forte dell’esperienza delle missioni sui ghiacci e del proprio entourage scientifico, ha collaborato attivamente con il British Antarctic Survey e la Witwatersrand University in Sud Africa, coordinati dall’Università tedesca di Kiel.
Allo studio ha partecipato Fausto Ferraccioli, recentemente nominato direttore della Sezione di Geofisica dell’OGS e rientrato in Italia dopo 18 anni al British Antarctic Survey.
“Da decenni cerchiamo di ricostruire i misteriosi legami geologici tra l’Antartide e gli altri continenti. Sapevamo che le rilevazioni magnetiche svolgono un ruolo fondamentale, perché ci permettono di esplorare la geologia nascosta sotto alle spesse calotte glaciali antartiche” spiega Ferraccioli.
“Ma ora possiamo fare molto meglio. Con la combinazione dei dati satellitari e aeromagnetici, possiamo guardare più in profondità nella crosta. Insieme alle ricostruzioni delle placche tettoniche, possiamo costruire innovativi modelli magnetici della crosta, collegando tra loro diversi studi geologici e geofisici in continenti oggi separati da immensi oceani. Strutture geologiche antiche, come cratoni e orogeni, in Africa, India, Australia e Antartide orientale sono ora collegati meglio che mai” conclude Ferraccioli.
La sperimentazione di questo genere di studi che combinano i dati magnetici dei satelliti con le misurazioni aeree sta avendo ripercussioni concrete sull’esplorazione dell’Antartide che rimane tutt’ora tra i continenti meno accessibili del globo.
I nuovi dati magnetici, da satellite e da aereo, sono infatti uno strumento prezioso per la comunità scientifica per studiare la geologia nascosta sotto i ghiacci dell’Antartide e soprattutto l’influenza che essa ha sulle calotte glaciali sovrastanti.
[z.s.]